Italiani popolo di disfattisti, o meglio no, malati stazionari

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MARTINA CECCO

Il risanamento delle banche che è costato alla gente la povertà: alle soglie dell’abbandono del Colle del Governo Tecnico, chiamato a risolvere senza pietà il dramma bancario/monetario di una incalzante decrescita al confine con il crack economico, la gente si ritrova a considerare la situazione di recessione con un occhio diverso: mutui in calo, prestiti in calo, consumi precipitati, disoccupazione triplicata e lo spettro della mobilità per le aziende che con questa manovra si sono trovate a diminuire la produzione, avere meno liquidità, in alcuni casi dovranno decidere se chiudere, indebitarsi a scadenza imprecisata o trasferirsi all’estero. Accade l’8 dicembre 2012, dopo un anno di sacrifici durissimi e due ore di colloquio tra il Primo Ministro Mario Monti e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Voci di corridoio che si infittiscono, malcontento che serpeggia e sfocia qua e la in manifestazioni di piazza, sempre più violente e discussioni massacranti. Siamo a ottobre mentre fino ad agosto “le suffragette” chiamavano a gran voce il Governo Monti Bis. Oggi, quattro mesi più tardi, a ridosso dell’approvazione della Manovra Finanziaria 2012 e prima della licenza del Patto di Stabilità le voci si sono ribaltate, i primi a chiederlo i politici esclusi da Palazzo Madama che hanno salvato “capra e cavoli”. Dove la capra è l’Italia e i cavoli sono i partiti: nessuno di loro si è effettivamente sporcato le mani per tentare manovre e racimolare il soldino dei “conti della serva”: però ora che la buriana è passata possono tornare a sedere sulle poltrone che hanno occupato a parte debita e parte indebita; chi li voterà sarebbe dunque fesso due volte? Buona pace per tutti, Mario Monti ha messo tutti d’accordo.

Il Governo Tecnico non è di partito, non è di parte e di sicuro non è stato per niente dalla parte del ceto medio, che di fronte a questo scollamento arriva perfino ad avere una lacrimuccia che scende dagli occhi ripensando al “glorioso”?!? passato della nazione, quando alla fine tra “tarallucci e vino” le bagarre sessuali di Silvio Berlusconi riuscivano in qualche modo a coprire il degrado economico e giustificare la disfatta politica. Mario Monti non è nuovo a improbabili programmi di resurrezione, per la seconda volta dimissionario, prima in Commissione Europea e ora al Governo Italiano, a suo dire in entrambi i casi per “amor di patria”. Insomma un agnello sacrificale.

Peccato che in questo sacrificio italiano contiamo oltre 120 suicidi con un incremento nazionale del 10% dovuti alla crisi economica, 35 imprese al giorno, di media, hanno chiuso o sono fallite, 10 banche versano in amministrazione straordinaria, 1152 Uffici Postali chiudono e 634 limitano il servizio a uno o due giorni la settimana. A questo si aggiungono le proteste del settore scuola, che ha provato a risanarsi con il “Concorsone Prendi Tutto” per precarizzare a tempo indeterminato i precari a tempo determinato.

Un disastro? No, poteva andare peggio, la Sanità ad esempio ha mantenuto un dato di spesa pubblica in linea con il trend europeo, il debito pubblico continua a salire, siamo verso i 2 mila miliardi di euro, l’evasione fiscale è passata dal 18% del PIL a uno stimato 21% del PIL nonostante un “lodevole” accanimento di Equitalia, Spa a capitale pubblico partecipata della Agenzia delle Entrate, che con il Decreto Salva Italia è stata chiamata “a rigore” togliendo un punticino percentuale caricato per le spese considerate esose. Sono saltate le pensioni cumulative da diverso ente, non definitivamente, però .. e possiamo ancora sperare che la 13° mensilità, benché ridotta, sia erogata (per i dipendenti ci saranno 20/25 euro in meno – per i professionisti anche 50).

La scelta di Mario Monti e del suo governo di “precisini” pronto a notti insonni, ma anche che ben si presta a mille gaffe pubbliche, ha tutto meno che dell’economico, una scelta morale, di protesta, fatta per controbattere al continuo logoramento che ha dilaniato la politica italiana da IV legislature a questa parte. Una politica fatta di schieramenti falsi, di improbabili liste composte da mentalità e persone che non hanno un vero legame ideologico, che anche in questo caso è riuscita a dare il peggio di sé. Se ci sono problemi, i nostri politici, benché li vedano, non intendono risolverli, è chiaro a tutti.

Le prossime settimane saranno quelle determinanti per poter capire se ci sono ancora speranze per l’Italia di rientrare in una normalità non solo di facciata, ma anche interna. La cattiva gestione delle risorse è oramai davanti agli occhi di tutti, una crisi di governo, che oramai in Italia sembra un po’ come le patatine fritte al fast food o il prezzemolo in cucina, deve darci elementi per riflettere su quello che è successo non appena un tiepido venticello a-democratico di sinistra ha cominciato a farsi sentire, a ridosso delle Primarie. Sì, perché le primarie non sono state poi questa plebiscitaria operazione, esultanti neo-liberisti bersaniani, a discapito del numero dei reali votanti, già si sentono a capo del vascello, seppure è difficile capire come un premier populista possa mettere d’accordo gli animi controversi della sinistra italiana.

E che dire del PDL di Angelino Alfano, un ragazzo giovane e serio, che tra un tentennamento e l’altro è riuscito a trovare nel cilindro due parole magiche che si sprecano nella destra popolare, “Silvio Berlusconi” e “elezioni anticipate”. Disfattisti? Alfano è così bene in linea con il partito che perfino il leghista Roberto Maroni, lontano da ogni previsione, dalle cime di una Padania innevata lo sprona ad andare avanti a spada tratta per la sfiducia prima e ora per la caduta del Governo. Come interpretare il plauso di Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini è un problema a sé.

Ma è evidente che i parlamentari che rischiano di rimanere a secco con le prossime elezioni non possono che voler attaccare l’attuale Governo, chi per stima e chi per disistima, ma pur sempre con il cucchiaio nella marmellata.

Rimettiamoci allora a vedere invece come stanno le cose secondo la opinione pubblica, lontano dalle voci dei singoli partiti. Se il New York Times non si pronuncia, limitando a sottolineare che il PDL porta con sé il 14% dei favori dei votanti, il quotidiano El Pais è più duro “Monti non sarà la marionetta di Berlusconi” e ancora The Economist rincara la dose: Berlusconi causa una tempesta con un PDL a un miserabile 16% più o meno all’altezza del Movimento a 5 Stelle di Beppe Grillo; il quotidiano Bild si interroga sul proseguo politico dell’Italia in Europa, il Berliner Zeitung piega più stretto: “Il Primo Ministro italiano Monti annuncia le sue dimissioni. Ha rifiutato di essere ricattato da Berlusconi.” Le Monde è più possibilista: “L’Italia si prepara alle elezioni anticipate, con Berlusconi come premier” e un PDL al 13,8%. Per l’Europa siamo solo dei malati stazionari.

Cosa saranno queste elezioni e questa crisi per l’Italia? Da una parte un piccolo salvagente per arrivare al 2013 con un dissanguamento economico monetario limitato per quanto possibile, dall’altra una ripartenza senza criterio, con una imminente stangata che arriverà a primavera, quando tergiversare e saldare i conti fiscali sarà obbligatorio. Niente di nuovo, ma con una lezione di stile, spetta a Giorgio Napolitano ora chiarire il perché di un malcontento così grave che in pochi giorni ha scatenato l’effetto domino sul Governo Tecnico e ancora di più spetta all’elettorato decidere dove andare per portare il paese nelle uniche due direzioni parallele possibili: il mantenimento economico e il rinnovo politico, con un occhio di riguardo alla stabilità dei territori, intesi come gestione locale di provincie e regioni.

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