Keynesiani per un po’, l’Italia che ci spera

0
1226

MARTINA CECCO

La pressione fiscale è in aumento in Italia e già i dati sui principali quotidiani parlano di un 55% medio sulla popolazione, facendo media però tra aziende grandi e piccole e tenendo conto di un dato ISTAT che non rende giustizia alle diverse categorie produttive. In alcuni casi specifici arriviamo a toccare il 60% e oltre sul valore reale.

Quella della PRESSIONE fiscale è una strategia economica che ha dalla sua parte il merito di contribuire a risanare i conti pubblici nel più breve tempo possibile, il metodo più rapido in termini di tempo per riportare il Bilancio dello Stato in condizioni efficienti. Metodo che storicamente ha dimostrato di avere grandi pregi, ma anche qualche limite. Il gioco economico si riduce a un meccanismo virtuoso che si sviluppa nella gestione di due fattori: il tempo e il lavoro economico.

Il demerito di questa strategia è sempre nel tempo fisico, cioè giorni e mesi: la efficacia dura nel breve periodo, la ricaduta di un margine diminuisce in proporzione inversa ricadendo in austerity, quello che si vuole e si deve evitare a tutti i costi, cioè restrizione della fetta di mercato che acquista, tra cui anche aziende e non solo privati. Di contro diminuzione del valore del lavoro e quindi abbassamento dello stipendio al netto.

Attualmente l’Italia si posiziona per pressione fiscale tra i paesi europei con maggiore indice, che equivale in generale e per un bilancio di Stato “sano” a un maggiore benessere legato al welfare e ai servizi. Quello che però va tenuto in considerazione è che l’Italia sta applicando questa strategia al fine politico e non solo economico, di riportare le casse dello Stato in una situazione positiva, quindi la regola della pressione fiscale, che funziona laddove si vuole migliorare la offerta di servizi e aumentare l’indice del welfare, viene applicata se vogliamo dire come risoluzione “fuori contesto” funzionale alle necessità governative.

Il 5 ottobre scorso sono stati presi in esame dalla Commissione finanze della Camera le possibili soluzione tecniche per poter istituire da una parte un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e dall’altra un provvedimento di legge per la perequazione degli introiti del gettito erariale, attualmente è stata individuata l’IMU come possibile risorsa, istituita al fine di poter recuperare i fondi direttamente e in proporzione alle voci di bilancio.

Tuttavia l’IMU non riguarda solo il debito pubblico, in generale individuato nella somma dei debiti derivanti dalla pubblica gestione, bensì tocca singolarmente ogni realtà municipale in cui è stato applicato, in proporzione alla situazione locale, quindi con disomogeneità. Un fattore che anch’esso comporta dei meriti e dei benefici. Può quindi essere interpretato come “investimento” ma anche come “spesa” a seconda della realtà dove viene applicato in rapporto al beneficio generale della operazione economica. Da qui il problema a cui fa riferimento la nota della Conferenza sulle Regioni del 4 ottobre scorso relativa alla necessità impellente di un decreto per “Ridurre i costi della politica” che restano tuttavia una delle voci più pesanti in fatto di bilancio.

Non sono novità esilaranti per la gestione di bilancio, lo sono al contrario per le imprese e per le aziende che hanno visto prima un aumento dei costi e poi un aumento della tassazione, tanto da aver portato il presidente di Confindustria a chiedere una riduzione dei benefici e degli aiuti alle imprese in sostituzione a un ulteriore aumento delle tasse. Già nel 2011 le previsioni erano per il 54% entro il 2013 e l’andamento del PIL e del costo del lavoro confermano la ipotesi di una reale ripresa solo a partire dalla fine del 2013. Non tutte le aziende possono portare il carico attuale per lungo tempo.

Cavalchiamo attualmente con fervore gli insegnamenti Keynesiani che aiutano a dimostrare come una azione capillare di recupero fiscale, attraverso prima di tutto l’aumento della tassazione e successivamente il controllo sui contribuenti al fine di ridurre in modo sostanziale la evasione e la elusione fiscale, al solo scopo di invertire l’indice del debito pubblico che è il primo dei problemi che attanagliano le casse dello Stato.

Di pari passo però a questa operazione di emergenza che non può essere uno schema applicabile a lungo dovrebbe inserirsi l’aumento del lavoro, inteso non solo come “posti di lavoro” operazione che già si è tentata in Italia prima della crisi economica, bensì aumento del “lavoro economico” cioè di quelle operazioni che consentono di ottenere più margine economico a fronte di minore rischio di impresa, sul modello delle Start-Up.

Il nuovo modello imprenditoriale approvato con il secondo “Decreto Crescita” Monti che è incentrato particolarmente sulla Agenda digitale e sulle imprese innovative, appunto le Start-Up potrebbe diventare una soluzione temporanea per l’aumento del lavoro economico, salvando le nuove iniziative imprenditoriali dal rischio collasso che deriva dalla pressione fiscale e nel contempo riducendo i margini di spesa per la pubblica amministrazione, al fine di poter nel più breve tempo possibile, cioè entro la fine del 2013, andare a ritoccare nuovamente l’asticella, riducendo le tasse per rimettere in atto un meccanismo virtuoso per il rilancio della economia nazionale, attualmente in palese difficoltà.

SHARE
precedenteRiflessioni sul caso Fava
successivoQualche vaffa in libertà, da Fiorito in su
Giornalista e blogger. Collaboro con il web in rosa di Donnissima. Dirigo Secolo Trentino e Liberalcafé. Laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Trento. Lavoro in un Progetto di sperimentazione AI.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome