C’è veramente aria di cambiamento?

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di MATTEO DI STEFANO

Il risultato delle amministrative di questo maggio un po’ pazzo è veramente sorprendente: se solo un mese fa qualcuno avesse predetto una sonora sconfitta per il centro destra a Napoli e (soprattutto) a Milano, non sarebbe stato preso molto sul serio. E invece il risultato è chiaro: un calo più o meno netto per i due partiti di Governo praticamente ovunque si sia andato a votare.

Quanto successo nelle ultime due settimane offre una miriade di spunti di riflessione. La prima considerazione riguarda il fatto che nessuno dei partiti presenti in Parlamento può esultare per l’andamento del voto: come detto, Pdl e Lega, oltre che perdere Milano e la possibilità di amministrare Napoli, si trovano di fronte ad un generalizzato calo del proprio consenso; il PD, nonstante mostri una grande euforia per come sono andate le cose, non ha certo fatto un balzo in avanti. Basti pensare che a Napoli avrà soltanto quattro eletti nel neo consiglio comunale e, stando alle parole di De Magistris, che ha annunciato nomine di giunta libere dai “suggerimenti” di partito, rischia di rimanere a secco di assessori. A Milano poi la vittoria di Pisapia, esponente di Sinistra e Libertà eletto candidato sindaco grazie alle primarie volute proprio dal PD, a messo a nudo il modo un pò impacciato di gestire il partito da parte dei dirigenti; altro schieramento che non se la passa affatto bene è il terzo polo, che ha attirato una fetta di elettori molto inferiore alle aspettattive, considerando che in molti comuni e province l’Udc e il Fli di Fini insieme, hanno ottenuto gli stessi voti presi dal solo UDC nelle precedenti tornate elettorali; infine, l’IDV incassa la vittoria plebiscitaria di De Magistris a Napoli, ma proprio l’ex magistrato, accolto non proprio a braccia aperte dal suo partito e da Di Pietro, ha dato uno schiaffo alla strategia che il partito sta portando avanti a livello nazionale, che consisteva e consiste nel convincere il Pd e la sinistra radicale a far fronte comune contro Berlusconi. De Magistris ha invece intrapreso la strada della rottura contro il sistema tradizionale dei partiti oltre che con il suo segretario di partito. Posizione questa che creerà non pochi imbarazzi a Di Pietro, nonostante appaia tutto rose e fiori tra i due.

Un altro interessante spunto di riflessione viene dal fatto che a vincere siano stati due candidati così detti radicali come Pisapia e De Magistris. Il messaggio che gli elettori hanno inviato a chi li governa è chiaro: basta con posizioni traccheggianti e con le vecchie logiche del compromesso; se la politica e i partiti tradizionali non sono in grado di portare avanti posizioni chiare e prendere provvedimenti concreti, si è pronti a cambiare, scegliendo semplicemente chi è fuori dalle dinamiche classiche della politica. A testimonianza di ciò, va sottolineato il risultato del movimento cinque stelle di Beppe Grillo che ha raccolto un discreto numero di consensi.

Ma tutto ciò è veramente un segno del fatto che il vento sta cambiando? Tutti i mezzi di stampa e molti dei protagonisti sostengono che sia così. Personalmente penso invece che l’elettorato spesso approfitti delle elezioni amministrative, sicuramente meno importanti e decisive rispetto alle nazionali, per mandare dei messaggi ai partiti e a chi governa. Al PDL e al Governo si chiede di concentrarsi meno sull’accanimento giudiziario nei confronti del Premier e su tematiche strumentalmente utilizzate ai fini del consenso, in luogo di un impegno maggiormente incentrato sui veri nodi dell’attività di governo, sui punti forti del programma come la riforma fiscale, il federalismo, una vera riforma della giustizia e il piano per il sud, che sembra essere sempre più urgente.

Visto sotto questa ottica il voto, più che un segnale di cambiamento, può rappresentare una straordinaria opportunità per l’esecutivo di rimettere in moto la macchina governativa che sembra essersi impantanata negli ultimi mesi. Può rappresentare un punto di partenza dove fare autocritica, rimettere in sesto la struttura del Popolo della Libertà (probabilmente si parlerà nelle prossime settimane di un congresso per ridefinire il funzionamento e i ruoli all’interno del partito) e utilizzare questi due anni (scarsi) che mancano alla fine della legislatura. per mettere in pratica il programma.

A testimonianza di ciò c’è il fatto che a Milano il sindaco Moratti ha tutto sommato ben amministrato il capoluogo meneghino; nonostante ciò si è deciso di dare una forte caratterizzazione nazionale ad un voto locale, accompagnata da una campagna elettorale piena di veleni e colpi bassi, e non incentrata sui programmi. E’ stato il segno da parte degli elettori di una certa insofferenza verso la politica che si concentra sulle solite vecchie polemiche.
Quello che aspetta la maggioranza sarà un periodo che può rappresentare un’enorme opportunità, anche alla luce della mancanza di una alternativa veramente credibile a Berlusconi. Se però l’esecutivo non sarà in grado di rispondere con i fatti a questo campanello d’allarme che gli arriva dalle amministrative, lo scenario sarà destinato a mutare aprendo una fase di grande incertezza.

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