La proposta di un governo di pacificazione: Salvini e Meloni hanno entrambi le loro ragioni

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Chi scrive rischia di apparire “democristiano” o cerchiobottista, e ne è consapevole, ma francamente gli viene difficile esprimere adesso un giudizio netto sulla proposta di Matteo Salvini di pacificazione nazionale lanciata nel campo avverso, ovvero l’attuale maggioranza di governo. L’atteggiamento non cambia neppure in merito alla successiva reazione di Giorgia Meloni, non proprio entusiasta della mossa salviniana. Proviamo comunque ad interpretare le due posizioni politiche. Il leader della Lega ha offerto la propria disponibilità all’intero panorama politico, ma soprattutto ed inevitabilmente a chi governa oggi il Paese, per tentare di risolvere in maniera bipartisan le principali emergenze nazionali e poi andare al voto. Quella pronunciata da Salvini non è una bestialità, perché nelle migliori democrazie, anche in quelle bipartitiche dove il confine fra maggioranza ed opposizione è nettissimo, può succedere che gli schieramenti normalmente alternativi fra loro abbiano un momento di collaborazione finalizzato all’interesse generale della nazione. Questa non è certo l’ora della responsabilità negli Stati Uniti, viste le scelte “terribili” degli attuali Democrats d’oltreoceano, ma in tante occasioni il Congresso americano ha prodotto leggi bipartisan, frutto della convergenza fra Repubblicani e Democratici. Non si tratta, per così dire, di “inciuciare” e di stare insieme per la poltrona, ma si ricorre, in una democrazia matura, alla riscrittura corale di alcune regole, utili per chiunque si trovi a governare, per poi tornare ognuno al proprio posto e proseguire l’alternanza fra forze avversarie.

In Italia, quel comitato di salvezza nazionale evocato da Salvini sarebbe dovuto divenire realtà già tanti anni fa, così avremmo avuto una cosiddetta Seconda Repubblica molto più efficiente, ma i piccoli interessi di bottega hanno finora sempre avuto la meglio. E se a tutt’oggi ci troviamo ancora immersi nella palude di un’eterna transizione, lo dobbiamo anche ad una sconsideratezza politica ventennale. Che la situazione italiana sia quantomai drammatica, con le banche in crisi, le grandi aziende che chiudono, il pozzo senza fondo rappresentato da Alitalia, l’economia priva di crescita significativa da troppo tempo, e molto altro, lo riscontriamo tutti ogni giorno. In un simile scenario Matteo Salvini, accusato spesso di essere uno sfasciatutto, potrebbe aver voluto togliere qualche argomento ai suoi detrattori, tendendo responsabilmente la mano per il bene del Paese, nonostante la fine del Conte 1 e gli screzi con il M5S. Dimostrando altresì come gli scriteriati, più affezionati al loro orticello che preoccupati per le sorti dell’Italia, siano gli altri, ossia Pd, M5S, Iv e LeU, i quali, com’era prevedibile, hanno reagito con freddezza alla proposta salviniana di pacificazione.

Fin qui, le dichiarazioni del leader leghista non sembrano poi così incomprensibili come sostiene Giorgia Meloni, ma anche quest’ultima ha qualche ragione ed è difficile ignorarne l’importanza. Le aperture di Salvini possono essere il risultato di un’analisi ponderata, ma espongono il segretario del Carroccio ad alcuni rischi. Tutti quelli che detestano visceralmente la figura di Matteo Salvini, e non si danno pace per i successi elettorali della Lega, fanno un gioco abbastanza disonesto, ma tutto sommato chiaro. Secondo i momenti e le convenienze, Salvini può essere dipinto come un pericoloso estremista, oppure come un personaggio in difficoltà che cerca inciuci e sponde in parti del vecchio establishment. Alcuni retroscenisti pongono l’accento, per esempio, sulla figlia di Verdini o sul presunto feeling con l’altro Matteo (Renzi), proprio per cercare di demolire l’immagine di “leader nuovo” e generare delusione presso l’elettorato leghista. La disponibilità ad un comitato di salvezza nazionale può fomentare le perversioni di alcuni giornali, che, pur discutendo probabilmente sul nulla, potrebbero iniziare ad insistere su ipotetici governissimi delineati, più o meno alla luce del sole, dai due Mattei.

In democrazia, è bene ribadirlo, il dialogo fra maggioranza ed opposizione su alcuni temi centrali non deve essere considerato blasfemo, ma il Partito democratico, che sguinzaglia le sardine contro il “fascista” Salvini, e il Movimento 5 Stelle, tornato sotto la tutela di un Beppe Grillo felicissimo di governare con il “partito di Bibbiano” (Di Maio è nulla di più di una sagoma di cartone), non sembrano essere in grado di promettere un’interlocuzione foriera di risultati. Le lamentele della leader di Fratelli d’Italia, per non essere stata consultata prima da Salvini, possono, fra le altre cose, descrivere una leadership, quella del segretario leghista naturalmente, molto efficace per quanto riguarda la singola Lega, (passare dal 4 al 30 per cento dei voti non è roba da poco), ma che fatica ad assumere il comando di una coalizione. Non è la prima volta in cui le rispettive posizioni di Salvini e Meloni divergono. Non un dramma, ma Lega e FdI non dovrebbero perdere di vista la necessità di mandare a casa la dannosa maggioranza di governo rossa-rossa. Se si riuscisse ad affrontare le emergenze nazionali ed alcune regole fossero rivedute prima del voto, fra le quali una legge elettorale utile alla democrazia e non a questa o quella formazione politica, l’Italia non potrebbe che beneficiarne, ma è determinante che i protagonisti del Conte 2, nato in maniera truffaldina, non si sottraggano troppo a lungo al giudizio degli elettori.

Di Roberto Penna in Atlantico Quotidiano QUI

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