Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011

Tradizionalmente si è ritenuto che già all’epoca dell’Unità esistesse un significativo divario economico tra Nord e Sud. Le ricostruzioni quantitative contenute nel volume mostrano, invece, come, nel 1861, in termini di reddito pro capite, il divario Nord-Sud fosse assai contenuto: non superiore al 10 per cento. Questo divario si mantenne più o meno stabile fino al 1891, quando ormai in Italia si era avviato il processo d’industrializzazione. Ciò non significa che alla data dell’Unità non esistessero differenze regionali nei redditi. Non era, però, ancora possibile tracciare – come avviene oggi – una netta distinzione tra le due aree del Paese. Al Nord come al Sud esistevano regioni più avanzate di altre. Tra quelle più ricche, Lombardia , Liguria e Piemonte al Nord; Puglia e Campania al Sud. In queste regioni, il reddito per abitante era maggiore di quello medio nazionale. I livelli più bassi si avevano, in Veneto (inclusi gli attuali Friuli e Trentino), Basilicata e Calabria.

Nei primi anni post-Unitari più evidenti erano, invece, alcuni divari di carattere sociale. Se si considerano alcuni di questi indicatori, come la mortalità infantile o la durata di vita, non si osserva un netto svantaggio per il Sud. Per esempio, la regione in cui la mortalità infantile era più elevata era l’Emilia Romagna, in cui 231 bambini nati ogni mille morivano prima di compiere cinque anni. In Calabria, la mortalità infantile era del 207 per mille.

Nel 1874, in Italia l’aspettativa di vita era di soli 33 anni. Nel Lazio, il valore più basso: appena 29 anni. In Sicilia e Liguria saliva a 36 anni. Tra Nord e Sud non c’erano grandi differenze. Differenze profonde esistevano invece nei livelli d’istruzione. Al Sud 84 persone su 100 erano analfabete, al Nord solo 67. Piemonte e Lombardia le regioni con minori tassi di analfabetismo.
Le ricostruzioni statistiche presentate nel volume mostrano come il divario nei redditi tra Nord-Sud divenga evidente nei primi anni del Novecento. Da allora, e fino ai primi anni Cinquanta, il divario aumenta. Nel 1951, il reddito pro capite del Sud è circa la metà di quello del Nord. Una fase di riduzione dei divari si ha nel periodo 1953-73, in coincidenza con la fase di più intensa crescita economica nazionale.

Le migrazioni Sud-Nord, il cambiamento strutturale nella struttura occupazionale, e le politiche d’industrializzazione attuate attraverso la Cassa per il Mezzogiorno contribuirono alla riduzione del divario. Quando, nella metà degli anni Settanta, la crescita economica italiana rallenta e l’Italia diviene una nazione post-industriale, il divario si riapre. Da allora, la forbice nei redditi tra Nord e Sud rimane grosso modo stabile. Oggi il Pil pro capite del Sud è circa il 58 per cento di quello del Nord: un livello analogo a quello dei primi anni Sessanta. Se si osserva l’andamento dei divari nei 150 anni dall’Unità a oggi si osserva come essi descrivano una specie di S rovesciata: aumento in una prima fase (1891-1951); riduzione in una seconda fase (1951-73); un nuovo aumento in una terza fase, dal 1973 in poi.

Nel 1861, quando l’Italia raggiunse l’Unità politica, il reddito medio degli italiani era di circa 2.000 euro ai valori attuali, cioè 5,5 euro al giorno. Nel 2010, aveva raggiunto 25.668 euro, cioè 70 euro al giorno. In 150 anni il reddito medio è cresciuto 13 volte. Pur partendo da livelli analoghi, Nord e Sud hanno raggiunto livelli di sviluppo diversi. Nel Nord il prodotto pro capite è aumentato di 15 volte, al Sud di 9 volte.
Un aspetto importante del processo di sviluppo dualistico dell’Italia riguarda l’interdipendenza economica tra Nord e Sud.

Dagli anni Sessanta in poi, la crescita dei redditi e dei consumi del Mezzogiorno è stata parzialmente sostenuta dai trasferimenti di reddito provenienti dalle regioni più avanzate del Paese. Le politiche d’industrializzazione prima, e i meccanismi redistributivi dello Stato sociale poi, hanno, in parte, finanziato i redditi disponibili e i consumi meridionali. Nel Sud si è determinata uno squilibrio tra capacità di produzione e capacità di consumo interne. I consumi sono stati maggiori del reddito prodotto in loco. Ma non è stato solo il Sud a trarre un vantaggio dai trasferimenti. A causa di una base produttiva poco sviluppata, insufficiente a sostenere i consumi, la domanda di beni e servizi del Sud è stata, in larga misura, soddisfatta da produzioni del Nord. Nello schema dell’interdipendenza economica, il Sud ha sì ricevuto flussi di reddito, ma ha fornito forza lavoro ed è diventato un grande mercato di sbocco per le produzioni delle industrie del Nord. Indirettamente, i trasferimenti verso il Sud hanno sostenuto lo sviluppo economico della parte più avanzata del paese. Fu davvero e soltanto un «sacco del Nord?».

Vittorio Daniele insegna Economia Politica all’Università Magna Graecia di Catanzaro. La sua attività di ricerca riguarda, principalmente, il ruolo dei fattori socio- istituzionali nello sviluppo economico. È autore di diversi articoli su riviste internazionali e nazionali. Con Rubbettino ha pubblicato, tra l’altro, il volume La crescita delle Nazioni. Fatti e Teorie (2008).

Paolo Malanima è Professore di Storia Economica e Direttore dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (ISSM) del CNR. Si occupa dei temi della crescita economica e del consumo di energia nelle economie pre-moderne. È autore di articoli e libri su temi di storia economica in età antica, medievale e moderna. Il suo volume più recente è Pre-Modern European Economy (Brill, Leiden- Boston).

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