Gli 80 anni di Piero Ostellino

Piero Ostellino ha compiuto  80 anni, molto ben portati e nel pieno dell’attività giornalistica. Veneziano di origini, torinese di studi, si laurea in Scienze politiche, interessandosi subito ai sistemi politici comunisti. La sua laurea in Scienze politiche era molto diversa da quella che si conseguiva dal 1972, quando venne istituita la Facoltà. I maestri erano Bobbio, Passerin dì Entrèves, Firpo e pochi altri  docenti molto qualificati. Poi venne il ’68 e la costituzione della Facoltà fece sì che essa di dilatasse a dismisura e diventasse un feudo incontrato  della sinistra professorale e studentesca, con un preside, Alessandro Passerin d’Entrèves che diceva: “Se non mi appoggiassi su questa canna, i miei colleghi certo non si sosterrebbero”. Il vecchio preside tentava di arginare inutilmente il clima politico che si era instaurato.

In effetti il discorso non è cosi manicheo perché su quelli che inizialmente appoggiarono i sessantottini, fin dal 1967, figura anche Passerin d’Entrèves che però  ebbe modo ravvedersi.
Nel 1963 Ostellino fonda il Centro “Einaudi” che in quell’epoca era l’unica isola di liberalismo in un arcipelago illiberale come la Torino “gramscian-azionista”, per dirla con un titolo di Dino Cofrancesco, quella oppressa da un’egemonia feroce che tendeva  e in parte tende ancora a soffocare ogni voce diversa. Oggi i pochi comunisti rimasti come  Renato Rizzo si rivelano  invece molto più liberali di gente che in modo rapace vede la cultura come qualcosa di esclusivamente suo,non certo alla maniera del Machiavelli della lettera al Vettori.
Nel 1964 dà vita alla “Biblioteca della libertà” una rivista che anch’essa intendeva nel deserto editoriale di allora essere un punto di ritrovo per le poche firme liberali. Fin da allora Ostellino aveva compreso il punto debole del liberalismo italiano e si era mosso per colmare il vuoto della diffusione  e anche dell’aggiornamento della cultura liberale.
Su quella rivista Valerio Zanone scrive del “Mondo” di  Pannunzio che aveva  chiuso i battenti nel 1966, superando vecchie e logore polemiche del decennio precedente. Certo, un partito liberale non poteva pensare di irregimentare la cultura in modo organico, ma il quasi disinteresse verso il tema che pure aveva tanta importanza, se pensiamo a Croce, ad Einaudi, a Giolitti, ad Amendola, a Pannunzio, a Soleri, ad Antoni, a De Capraris, a Chabod, a Romeo, appariva un deficit di notevoli dimensioni. Una rivista come la”Biblioteca della libertà” consentiva anche di avere una visione sul liberalismo a livello internazionale che diversamente noi giovani liberali di allora non avremmo avuto. In modo molto più modesto del “Mondo”, ma era un prodotto di giovani intelligenti guidati da uno sfolgorante Ostellino che agitava le acque in quello che culturalmente poteva far pensare ad uno stagno.In quegli anni il Partito liberale torinese era, a sua volta, uno stagno in cui prevalevano figure di scarso rilievo. In quel partito non c’era una testa pensante significativa: c’era Ostellino e basta.
Lo capì un imprenditore, Fulvio Guerrini, che finanziò il Centro Einaudi che oggi è però  tanto, tanto diverso da quello fondato da Ostellino. Confesso per la prima volta che, dando vita al Centro “Pannunzio” pensammo anche al modello del Centro Einaudi di allora in cui un altro amico, Giuliano Urbani, stava emergendo in modo significativo. Ma, per veder riconosciuto il suo valore, Ostellino fu costretto ad emigrare da Torino , sempre ingenerosa con i suoi figli migliori.
Già nel 1967 Ostellino è al “Corriere della sera” dove rimarrà fino al 2015. Per quel giornale egli è stato corrispondente da Mosca e da Pechino in anni cruciali, per poi divenire direttore in anni difficilissimi per il giornale di via Solferino  dal 1984 al 1987.
Tra i molti premi giornalistici  prestigiosi mi piace ricordare il Premio “Pannunzio” nell’anno del centenario della nascita del direttore de “Il Mondo”. Fu un ritorno nella sua città al ristorante del Cambio prima che venisse modificato com’è oggi. Nel 2013 tornè a Torino a tenere, su invito del Centro “Pannunzio” una lectio magistralis a Palazzo Lascaris sul liberalismo che venne pubblicata dal Consiglio Regionale del Piemonte.
Il giornalismo di Ostellino è un giornalismo colto di cui si sta perdendo l’esempio. Ma è anche un giornalismo che usa parole semplici,comprensibili al grande pubblico: la sua rubrica “Il dubbio” (titolo emblematico del modo di pensare di Piero ) è stata sempre seguitissima con scambi epistolari frequenti con i lettori. Ostellino non si è mai illuso di avere masse che lo seguissero. Il suo liberalismo purtroppo era quelli dei “quattro gatti”: forte sul piano dei valori e dei contenuti, fragile oggi in Italia sul piano dei consensi.
Paradossalmente il liberalismo era molto più seguito ai tempi di Malagodi che non negli anni in cui tutti si dicevano liberali senza esserlo e,soprattutto,senza neppure capire il senso della parola liberale,confusa tout-court con il liberismo economico. Ostellino ha filtrato il suo originario liberalismo attraverso le esperienze internazionali e i contatti che ha avuto nel corso degli anni.
Oggi il suo liberalismo  guarda soprattutto all’Illuminismo scozzese che si distingue da quello francese “proprio per il fatto che quest’ultimo ritiene di portare sulle spalle la razionalità, la dea ragione attraverso la quale accedere  a quella verità  che si pretende poi di imporre  anche cosiddette scienze sociali”.
Ostellino si richiama alla concezione scettica ed empirica della vita propria degli scozzesi. Un altro punto fermo per Piero è il Conte di Cavour sul versante ottocentesco. Egli scrive che “il Conte aborriva il socialismo, lo temeva, pensava che fosse pericoloso  e riteneva che fosse anche la naturale derivazione della democrazia “. E dopo aver citato Tocqueville maestro ideale del Conte, ma lontanissimo dall’Illuminismo francese, aggiunge: “La democrazia presuppone l’egualitarismo, il liberalismo l’individualismo meritocratico”.
“Io sono vissuto in paesi -aggiunge Ostellino- che professavano dei principi di carattere egualitaristico, ma poi nella prassi quotidiana non era così”. L’Urss aveva la sua brava nomenclatura che stava molto meglio del popolo e in Cina aveva visto all’opera Mao e la”Banda dei Quattro”che metteva in carcere o in campo di lavoro chi  non credeva all’egualitarismo. “L’umanità al contrario – scrive Piero – non è mai vissuta così bene  come quando è vissuta in paesi  che professano la democrazia liberale“.
E ovviamente Hayek resta un altro punto di riferimento: io incominciai a conoscere il suo pensiero liberale, distinto da quello democratico, leggendo la traduzione di un suo articolo sulla “Biblioteca della libertà”. Hayek come teorico  delle libertà al plurale  contro le cosiddette verità al singolare che generano per bene che vada conformismo.
I punti di arrivo per Piero sono sempre dei nuovi punti di partenza perchè non esistono verità con “V” maiuscola, acquisite una volta per sempre. Diceva Nicola Matteucci un maestro troppo in fretta dimenticato che nell’espressione liberaldemocratico, la parola forte è quella liberale.
Ostellino forse non accetta neppure quell’espressione che ritiene ambigua perché lui ritiene che “la dottrina della libertà  non sia quella dei diritti che attiene alla democrazia “. Ma contemporaneamente Piero ritiene che la libertà si coniughi con il senso di responsabilità individuale, demarcando in modo netto il confine tra il  suo liberalismo e il cosiddetto anarco-liberismo che appesta i nostri tempi.
Il suo è un liberalismo difficile (come difficile era il socialismo sognato da Antonio Giolitti) che implica cultura filosofica e conoscenza storica. Un liberalismo che va oltre i confini italiani perchè  un paese come il nostro “non ha assorbito la cultura liberale ed è semmai figlio della cultura razionalista francese “. C’è da augurarsi che Ostellino maestro di liberalismo  indifferente ai falsi miti di massa e alle rozze e demagogiche semplificazioni di una classe politica inadeguata possa ancora per  molti e molti anni offrirci lo stimolo dei suoi articoli e dei suoi libri. Abbiamo più che mai bisogno del tarlo del dubbio che egli oppone alle inossidabili certezze che rivelano spesso molto approssimative se non del tutto false. Sarebbe stato bello che Torino avesse saputo festeggiarlo degnamente. Così non è stato.
Piero Ostellino, torinese e liberale, capace di guardare avanti, mantenendo un profondo radicamento con i valori del Risorgimento cavouriano, sulle orme di Luigi Einaudi, resta comunque forse l’unico intellettuale autenticamente liberale oggi presente sulla scena culturale italiana. E, forse, proprio per questo, è stato ignorato.
1 Comment
  1. Dopo il fallimento del collettivismo, molti pentiti – alcuni anche sinceri – hanno abiurato il socialismo, dichiarandosi liberali. C’è stato addirittura il tentativo di spacciare socialisti come Norberto Bobbio come illustri liberali…

    Invece Piero Ostellino è senza alcun dubbio uno dei più autentici liberali italiani del nostro tempo. Un degno erede di Bruno Leoni. Un liberale del tipo Whig, quel liberalismo “atlantico” dal quale poi si sono originate le Scuole di Economia Austriaca di Ludwig von Mises e F.A. von Hayek (ai quali possiamo aggiungere anche il grande pensatore Karl Popper), e la Scuola di Chicago di Milton Friedman, Murray Rothbard ed altri, scuole alle quali si sono ispirati con enorme successo Ronald Reagan e la Thatcher.
    Uno dei saggi di Ostellino da raccomandare è LO STATO CANAGLIA http://www.amazon.it/gp/product/B0067K1UVU?keywords=piero%20ostellino&qid=1445209383&ref_=sr_1_1&sr=8-1
    Una sintesi della degenerazione di quel potere pubblico si attribuisce ogni sorta di prerogative. L’autore critica in maniera brillante proprio quello Stato paternalista che alla fine ingessa ogni iniziativa privata ed inibisce la capacità degli individui di creare ricchezza con il loro capitale umano, portando le Nazioni a ciò che viviamo oggi nella nostra attuale democrazia.

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