Vittorio Mathieu, la fedeltà è libertà dell’interprete: “perché punire”

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Nel 147esimo evento di Lodi Liberale è stato presentato il libro di Vittorio MathieuPERCHE’ PUNIRE” pubblicato da Liberilibri Editrice, presentato insieme a Iuri Maria Prado (Avvocato e Giornalista), Alberto Berardi (Avvocato e Professore di Teoria del Diritto Giurisprudenziale presso l’Università degli Studi di Padova) e Giorgio Bottani (Avvocato ed Ex Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lodi). L’evento è stato organizzato insieme all’Ordine degli Avvocati e consente di fruire dei crediti formativi.

Il libro è stato scritto nel 1977, in un periodo in cui si era diffusa la Cultura politica della giustizia borghese, oggi il clima è cambiato; l’autore del libro insegnava Filosofia teoretica. La serata è stata moderata dal Presidente di Lodi Liberale Lorenzo Maggi.

Quando nel 1972 lo stesso autore pubblicò il libro “La speranza nella rivoluzione” edito da Rizzoli metteva in dubbio la possibilità di una Rivoluzione non delirante: la rivoluzione secondo Mathieu non cambia le cose, cambia e rovescia il potere instillandone uno di speculare. Mathieu aveva fondato con Giuliano Urbani il partito di Silvio Berlusconi, Forza Italia, studiava Bergson, Kant, Goethe, come principali filosofi sui cui testi ha scritto molto.

IL SENTIMENTO DELLA LIBERTA’ PARTE DALLA CULTURA

“Il libro ha dei punti di vista che non sono esattamente allineati al pensiero liberale, ma è liberale il suo diffuso sentimento dell’esistenza, rispetto al punire, quando parla di una sorta di carenza rispetto al pubblico sentimento del bisogno della giustizia!” Secondo lo scrittore il concetto odierno di libertà è molto simile all’idea di non trarre le conseguenze dalle proprie azioni. Mathieu sostiene la tesi che “la pena di morte è legittima; non assolutamente necessaria in linea di principio, ma in certi casi molto opportuna in chiave kantiana: adeguata come conseguenza diretta del crimine”.

LA GIUSTIZIA PENALE E IL PENSIERO GIURIDICO

“L’ambiente degradato delle carceri consente il principio della rieducazione, o in alcuni casi non sarebbe più semplice l’afflizione e la punizione rapida come succede con le pene corporali? Il dovere di punire non è un’impostazione esclusiva di Mathieu, ma in generale nel libro l’autore si chiede per quale motivo si produce il sentimento per cui il detenuto debba soffrire? In una società libera la sofferenza della pena che spiegazione ha?”

LA DIFFERENZA TRA ME E TE

Una società libera dovrebbe vedere come privativo lo stato carcerario, la non libertà altrui, per cui non dovrebbe essere tentato di aggiungere una pena: se si deve aggiungere anche la sofferenza fisica, alimentare, ambientale è perché non ha dato il valore alla condizione distintiva della libertà. La sofferenza dunque è legata al fatto che non si avverte nessuna differenza di stato tra chi è dentro e chi è fuori il carcere, dunque chi la pensa così non dà valore al proprio stato libero, o non si sente libero.

Iuri Maria Prado ha concluso il suo intervento sottolineando che se si diffondesse un sentimento liberale il primo dei valori sarebbe quello di avere concezione del significato profondo della libertà della persona.

«Finché si diceva: “l’individuo non esiste e se anche esiste non è imputabile”; “gli atti sono determinati”; “la responsabilità è collettiva”; “la società è ingiusta”; “nessuno deve soffrire”, e si continuava a condannare gli individui secondo i canoni della vecchia giustizia, sembrava che tutto andasse per il meglio. La prassi non ne soffriva e gli autori di quelle dottrine illuministiche, positivistiche, scientistiche, socialistiche, umanitaristiche potevano accedere al laticlavio. Improvvisamente ci si è accorti che qualcuno applicava quelle dottrine come se fossero state vere. Scaricava sulla società la responsabilità collettiva, faceva a meno di rispettare l’individuo, che non esiste (all’occorrenza uccidendolo), praticava l’esproprio rivoluzionario, etc.; e non essendo imputabile, chiedeva di non essere condannato.»

Poco o nulla è cambiato dal 1977, quando l’Autore scriveva «Perché punire?» Di qui la scelta di ristampare quasi immutato questo testo divenuto introvabile, che getta luce su aspetti fondamentali delle cause del collasso della giustizia penale.

IMPUNITI IN MASSA?

Alla base del nostro modo di vedere oggi la punizione, secondo Vittorio Mathieu, non c’è il concetto di maltolto, ma il concetto di cambiamento: il detenuto viene visto dalla massa come un soggetto che è una parte di una massa. Questo non è vero: il soggetto è responsabile delle proprie azioni e la deresponsabilizzazione vissuta a causa della rivoluzione, del collettivismo, della mentalità dell’azione sociale, ha tolto la libertà del singolo, ma anche la capacità valutativa della percezione della libertà del singolo: ecco perché la punizione è vista nel dolore del contrappasso, per segnare la differenza tra il buono e il cattivo, la separazione (giustizia divenuta giustizialismo) e non la punizione per il fatto compiuto, come era originariamente intesa (ecco perché si può discutere della pena capitale anche se si è contrari, in ottica di causa effetto).

Lo Stato DEVE punire, per mantenere alto il livello di responsabilizzazione dei singoli, l’alternativa della non punizione vista come collettivismo e sofferenza, come funziona in altri sistemi giuridici, funziona solo nel momento in cui il sistema di riferimento politico è di stampo dittatoriale, allora nel completo controllo della libertà dei singoli in gruppo, effettiva o percepita, risiede il senso della sofferenza di chi ha “tradito” ma questa non è legalità giuridica legata a un sistema penale, ma moralismo collettivo legato a un sentire.

LA GIUSTA PUNIZIONE

“Non c’è nessun altro mezzo per rispettare l’umanità del colpevole che farlo espiare, perché non c’è nessun altro mezzo per prendere sul serio la sua libera volontà. La sofferenza infatti, sveglia la coscienza e stimola la libertà”.

Alberto Berardi porta un contributo essenzialmente tecnico legato alla costituzione del principio giuridico, fino alla concezione odierna del diritto penale, dove si spiega la correlazione tra reato e pena, tra illecito e sanzione.

IL POSITIVISMO GIURIDICO

L’approccio alla storia giuridica è di fronte a un mutamento fisiologico e concettuale molto evidente: il diritto come principio positivizzato incrementa il peso del controllo giuridico. Il limite, inteso nel senso del margine ultimo; il volume presentato, dunque, inteso come approccio all’analisi di fatti, riguarda la correzione delle azioni asimmetriche. In questo senso l’autore può essere inteso come pensatore liberale, in quanto mette in evidenza i condizionamenti della libertà, necessari per il rispetto degli accordi comunemente accettati per convenzione, per legge, all’interno di un sistema normato.

“L’autore si riferisce a tempi relativamente recenti, dove ci si deve porre la domanda sull’effetto di deresponsabilizzazione del singolo, se oggi lo stato di necessità è di fronte a una spaventosa e drammatica inflazione della penalità, motivo per cui Mathieu non può essere ascritto nello scaffale dei giustizialisti” ha detto Berardi.

LA RIFORMA CARTABIA

Dal mese di agosto è entrata in vigore la mini riforma proposta dagli emendamenti della Ministra della Giustizia Marta Cartabia al disegno di legge di “delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello”. La riforma pone in essere alcune modifiche, essenzialmente legate alle udienze filtro, alla digitalizzazione e inerenti la prescrizione e mette in campo una serie di pene sostitutive che hanno attinenza con il concetto espresso nel libro di Mathieu: ad esempio la detenzione domiciliare, la semilibertà, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria. Si tratta di misure che si sono rese necessarie sia per il cambiamento culturale rispetto al concetto del reato in sé, sia per abbattere il problema del sovraffollamento delle carceri.

LA PENA DI MORTE IN ITALIA VIENE ANCORA DISCUSSA, ANCHE IN TELEVISIONE

Lodi Liberale, per mezzo delle parole del suo presidente, si è sempre posta contrariamente alla pena capitale, come la maggior parte dei politici di oggi fanno, ma non è solo una questione fattuale.

“La pena di morte in Italia, per come è costituita la relazione di simmetria tra vittima e carnefice, non ripristina l’equilibrio, ma non è scandaloso dire che la pena di morte, di per sé, non contraddice i principi liberali, se considerata in chiave di condivisione di un principio.” In pratica, secondo Berardi, è il tipo di rapporto in cui ci si muove, a definire la posizione sulla pena di morte, non la pena di morte in sé.

Accendere le luci di casa per manifestare in favore della pena di morte? Un fatto che non ha avuto particolare riverbero e riferito a Giorgio Almirante, uscito durante la testimonianza di Berardi, che parla di come in televisione, si sia toccato, anche se appunto di sfuggita, l’argomento. 

“La considerazione delle conseguenze a cui portano i princìpi è uno degli esercizi che ripugnano di più” Vittorio Mathieu.

“Questo libro si pone tra i classici del pensiero del liberalismo, pur essendo faticoso da leggere.” Giorgio Bottani ha parlato dell’origine dell’esigenza della giustizia e della regola per la persona. Da dove nasce la nostra esigenza? Il primo a occuparsi di questo argomento è San Paolo, che parla della legge, come la prima manifestazione di una società della responsabilità, contraltare della libertà. Si è responsabili quando si è liberi.

 

A cura di Martina Cecco

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