I “numeri 2″ dei talebani: forse sono troppi

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[riportiamo l’articolo scritto dal nostro amico Antonio Picasso così come pubblicato su liberal del 24 febbraio 2010]

di ANTONIO PICASSO

La recente cattura del leader talebano, Abdul Ghani Baradar, offre lo spunto per delineare una mappatura dei mujaheddin “most wanted” catturati o uccisi dalle forze Nato e Isaf in Afghanistan, oppure dall’esercito pakistano oltrefrontiera. Baradar è stato preso grazie a un’operazione congiunta delle truppe Usa e delle Forze di sicurezza di Islamabad. Già questo ha portato gli osservatori a parlare di un successo. Significa che la cooperazione fra i due governi, lubrificata dai 7,5 miliardi di dollari della Legge Kerry-Lugar, stavolta funziona. La cattura di quello che è stato definito “lo stratega della lotta talebana” è stata un colpo durissimo assestato al nemico. Per capire chi fosse Baradar, basta ricordare che sarebbe stato lui il compagno del Mullah Omar nella rocambolesca fuga da Kandahar nel novembre 2001, in sella a una moto. L’episodio è rimato sempre coperto da un velo di leggenda.

Baradar era considerato quindi il “Numero 2” di tutte le forze talebane congiunte afghano-pakistane. D’altra parte, e questo ridimensiona l’importanza attribuita al personaggio, era trapelata anche la notizia di una sua eventuale disponibilità al dialogo offerto dal Presidente afghano Karzai in occasione della Conferenza di Londra alla fine di gennaio. Viene da domandarsi quindi come il vice Comandante in capo dei talebani abbia potuto replicare positivamente alla mano tesa da Karzai, quando il suo diretto superiore, il Mullah Omar, si sia dichiarato sempre contrario a qualsiasi ipotesi di negoziato con Kabul e i suoi alleati occidentali. Da qui un’ulteriore provocazione. Questa etichetta di “Numero 2”, a ben guardare, è stata attribuita a fin troppi leader talebani.

Procedendo a ritroso nelle cronache dell’“Af-Pak war”, si incontra una lunga lista di personaggi che avrebbero ricoperto questo incarico. Ilyas Kashmiri, capo del “Pakistan Occupied Kashmir” (Pok) al momento del suo arresto, il 17 settembre dello scorso anno in Waziristan, era considerato il diretto successore di Beitullah Mehsud, ucciso alla fine dell’agosto precedente. Per entrambi si è parlato di comandanti secondi solo al Mullah Omar e detentori di un’influenza senza pari sulle tribù nemiche. Il caso di Mehsud peraltro è particolare. Al momento della sua morte infatti è emersa l’importanza del suo intero clan. Di questo bisogna ricordare gli esponenti di maggior rilievo: Hakeemullah Mehsud, tuttora a piede libero, e Qari Hussein Mehsud. I due uomini sono ricercati in Afghanistan e Pakistan proprio perché si è convinti che, una volta eliminati loro, non resti che il Mullah Omar da catturare. E quindi vincere la guerra. Un altro clan che sarebbe in grado di tenere le fila di tutta la lotta talebana è quello degli Haqqani. Mawlawi Lalaluddin Haqqani e suo figlio Sirajuddin sono alla guida dell’“Islamic Emirate of Waziristan”, un movimento considerato come il collettore delle forze fondamentaliste impegnate sia nella guerra in Afghanistan, sia nelle attività terroristiche in Pakistan.

Si passa poi ai singoli individui. Abu Laith al-Libi, di evidente origine libiche, è stato ucciso circa due anni fa. Per la sua cattura gli Usa avevano posto una taglia di circa 200 mila dollari. Mentre di Tahir Yuldash, leader dell’“Islamic Movement of Uzbekistan – anch’egli “valutato” 200 mila dollari – le agenzie di intelligence non riescono a recuperare alcuna informazione ormai da anni. Ancora più illustre è il nome di Obaidullah Akhund, Ministro della Difesa del Governo talebano negli anni Novanta. Catturato nel 2007, è stato rilasciato nel maggio 2008 in circostanze poco chiare. I talebani parlano infatti di uno scambio con l’Ambasciatore pakistano in Afghanistan, Tariq Azizuddin, caduto nelle loro mani nel febbraio dello stesso anno. Secondo Asia Times, Baitullah Mehsud avrebbe pagato 20 milioni di rupie per il ritorno di Akhund tra i suoi uomini. La lista prosegue con tanti altri “numeri 2” la cui eliminazione avrebbe dovuto risolvere l’intero conflitto. Alla morte del Mullah Dadullah, nel maggio 2007, si è parlato chiaramente della decapitazione della leadership talebana. Lo stesso è stato scritto quando è stato ucciso Reza Khan, sempre nel 2007, e Ahmad Shah l’anno successivo. Di Qari Ahmadullah, fondatore dello “United Islamic Front for the salvation of Afghanistan” e capo dell’intelligence talebana, non si hanno notizie da circa dieci anni. Altrettanto interessante è la figura del Mullah Abdul Ghafour, catturato nel 2007. In questo caso la coalizione occidentale non è mai stata certa di chi abbia arrestato. Quello di Ghafour infatti è un nome attribuito a tanti comandanti nemici. Ancora una volta tanti, troppi “numeri 2”. Infine bisogna menzionare il Mullah Mohammed Rabbani Akhund, co-fondatore (anche lui) insieme al Mullah Omar, del movimento talebano e Primo ministro del regime dal 1996 al 2001, anno in cui morì di cancro.

Da questo breve riepilogo, emerge una serie di elementi che fanno pensare quanto difficile resti la situazione dell’“Af-Pak war”. È evidente che a ogni eliminazione o cattura di un leader talebano si inneschi un meccanismo perverso di rigonfiamento della notizia. I comandi operativi e le agenzie di intelligence, soprattutto la Cia e l’Isi, sono portati a sottolineare il loro successo per dimostrare ai loro governi che il conflitto in Afghanistan si sta comunque evolvendo in senso positivo e che la cooperazione con il Pakistan ha la sua ragion d’essere. Lo stesso atteggiamento viene raccolto dalla classe politica in Occidente – a Washington in particolare – la quale di fronte agli elettori deve rispondere in modo convincente del perché combattiamo. Il film “Leoni per agnelli” di Robert Redford spiega come funzionino queste sottili manovre politiche. Infine arrivano i media, affamati di notizie da lanciare come “breaking news”. Volendo ridimensionare la situazione, bisogna ricordare che la guerra in corso non può essere conclusa grazie alla cattura di un solo uomo. Il movimento talebano in questi oltre otto anni di conflitto si è evoluto più volte. Ha assunto identità differenti, stringendo alleanze con movimenti di guerriglia che aspirano a obiettivi totalmente differenti dal suo. Lo stesso target dei talebani è mutato rispetto a quello originario. I legami con i mujaheddin uzbeki, gli indipendentisti kashmiri, i signori della droga e ovviamente al-Qaeda sono alleanze strumentali, che hanno provocato un aumento di visibilità dei leader delle singole realtà in armi. Per questo la recente cattura di Baradar necessita di essere, per alcuni aspetti, ridotta del suo peso specifico. La presa di un generale può significare la disgregazione della sua armata, ma non di tutto un esercito. Soprattutto perché del Mullah Omar o dello stesso Osama bin Laden, menti politiche che decidono la strategia al fronte, non si sa davvero nulla.

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