Dopo Trump, anche Londra mette da parte la cautela e va all’attacco di Pechino per Hong Kong

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Dopo Trump, anche il governo Johnson entra a piedi uniti sulla Cina per la questione Hong Kong. Dopo un lungo periodo di cautela nelle posizioni e nelle dichiarazioni in materia, il ministro degli esteri, Dominic Raab, ha annunciato che la nuova legge sulla sicurezza nazionale cinese “viola in modo chiaro l’autonomia di Hong Kong garantita dagli accordi sino-britannici del 1997”. Il governo conservatore è arrivato a ipotizzare anche un fast-track, una “corsia veloce”, per concedere il visto agli abitanti di Hong Kong – British National Overseas (BNO) – per venire a studiare e lavorare nel Regno Unito fino a un periodo massimo di un anno con la possibilità che questo si trasformi in una vera e propria cittadinanza. Questo schema renderebbe eleggibili per diventare cittadini britannici circa 3 milioni di persone.

Il piano – sostenuto anche dall’ultimo governatore britannico di Hong Kong, Chris Patten – è stato accolto con freddezza dai vertici di Pechino. “Sarebbe una violazione degli accordi di consegna del 1997 che prevedono, tra le altre cose, che chi possiede un passaporto BNO non possa usufruire della residenza nel Regno Unito”, hanno commentato le autorità cinesi. Più duro ancora è stato l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming, che ha avvertito gli inglesi di stare alla larga dalla questione Hong Kong e ha accusato la politica britannica di vedere la questione ancora in “termini imperiali”. Il presidente della Commissione Affari esteri della Camera dei Comuni, nonché chairman del China Research Group in casa Tory, Tom Tugendhat, ha affermato che “il governo britannico deve capire che il sistema cinese è un sistema molto autoritario” e ha invitato, nuovamente, Johnson a rivedere i rapporti con la Cina.

Le tensioni su Hong Kong seguono quelle recenti sulla presenza del 5G di Huawei Oltremanica, con la recente presa di posizione del National Cyber Security Centre (NCSC) sulla revisione dell’impatto che la tecnologia dell’azienda cinese avrà sui network che la utilizzeranno. Una decisione a cui non sono estranee le perplessità di Washington.

Mentre si inaspriscono i rapporti tra Londra e Pechino, sette ex Foreign Secretaries hanno scritto a Johnson auspicando che “il governo britannico mostri una leadership internazionale sulla vicenda Hong Kong, di modo da convincere anche le altre nazioni a seguire il suo esempio”. Jeremy Hunt, David Miliband, Jack Straw, William Hague, Malcolm Rifkind, David Owen e Margaret Beckett hanno espresso in modo cross-partisan la loro preoccupazione per quella che hanno definito una “flagrante violazione” degli accordi sino-britannici da parte cinese con l’imposizione di dure norme sulla sicurezza nazionale applicate anche a Hong Kong.

I sette hanno esortato il premier a stabilire un gruppo di contatto internazionale di alleati per coordinare un’azione comune, sul modello di quanto costruito nel 1994 per porre fine al conflitto in Yugoslavia. Infine, una proposta suggestiva è arrivata da Daniel Hannan, ex parlamentare europeo Tory, che ha suggerito agli abitanti di Hong Kong di trasferirsi in massa nel Regno Unito, portando con sé il loro spirito libero e imprenditoriale. Per Hannan i rifugiati hongkonghesi ritroverebbero nel Regno Unito le libertà perdute sotto la dominazione cinese. “La nuova città-stato, ha detto il columnist del Daily Telegraph, potrebbe sorgere nell’Isola di Wight”.

Di Daniele Meloni in ATLANTICO QUOTIDIANO QUI

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