La svolta liberale parte dalla giustizia

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di Enrico Gagliardi

Ad ondate cicliche, ovvero ogni volta che fatti di cronaca particolarmente efferati colpiscono l’opinione pubblica, si torna a parlare di riforma della giustizia, soprattutto penale e la cosa non meraviglia più di tanto proprio perché il diritto penale, nella sua duplice forma sostanziale e processuale rappresenta un vero e proprio termometro per misurare il livello di civiltà di una democrazia.

L’ultimo esempio in ordine cronologico l’abbiamo riscontrato con la vicenda dello stupro della Caffarella, indagine peraltro scomparsa improvvisamente dalla cronaca giornalistica, quasi che il sacrosanto principio della segretezza delle indagini fosse tornato in auge dopo una prima fase nella quale per giorni sono stati sbattuti i mostri in prima pagina (sul modello del caso Tortora) salvo certificare successivamente la loro innocenza.

In quei giorni in tanti, consapevolmente o meno, si sono scagliati contro la magistratura senza capire che almeno nel caso concreto i problemi erano altrove e di più ampia portata; nella mancata riforma organica della giustizia penale per esempio, che ancora una volta stenta ad arrivare; nell’assenza di forza, da parte dei governi via, via succedutesi nel tempo, di imporre una propria visione moderna e garantista del diritto penale anche a costo di entrare in conflitto con alcune correnti conservatrici e reazionarie della magistratura che da sempre si sono opposte a qualunque riforma che abbia interessato la giustizia penale, le stesse correnti che, per intenderci, da subito hanno contestato con veemenza la riforma di stampo accusatorio del codice di procedura penale del 1988 anche grazie all’aiuto di una Corte Costituzionale che operando “chirurgicamente” su alcune disposizioni chiavi del codice di rito ha di fatto smontato l’intero impianto accusatorio basato sul principio “puro” dell’oralità della prova nel dibattimento che quella riforma aveva avuto il merito di introdurre. Da quel momento infatti tutti i successivi interventi del legislatore, sia a livello ordinario che costituzionale sono sempre stati il tentativo di riparare agli interventi della Consulta; da questo punto di vista la storia del processo penale è in un certo senso una lunga partita a due tra legislatore ed il Giudice delle Leggi.

Necessità di un nuovo ripensamento del rito penale dunque (oltre che del codice sostanziale) che parta da quello che di buono già c’è nel nostro processo “depurandolo” dalle disposizioni inutili, obsolete e contraddittorie che negli anni si sono stratificate e sovrapposte: più che una riforma intesa nel senso letterale del termine, una razionalizzazione degli istituti insomma.

Sotto alcuni aspetti questa strada è già stata imboccata: qualcosa di buono è stato fatto per quello che riguarda i cosiddetti procedimenti speciali, allargando le possibilità di patteggiamento e l’operatività del rito abbreviato ed introducendo nel sistema nuove forme di giustizia premiale: nonostante facili e superficiali conati demagogici abbiano nel corso degli anni contestato questo genere di procedimenti, l’esperienza ha dimostrato come il carattere deflativo che tali meccanismi introducono abbia tentato di risolvere, tra gli altri, uno dei principali problemi della nostra giustizia ovvero l’ingolfamento delle Procure del paese oltre a rendere più celeri i singoli processi.

Al governo in carica dunque spetta l’arduo compito, ed è questa la vera sfida, di mettere mano ad un vespaio assumendosi la responsabilità di compiere atti anche impopolari se necessario ma comunque indispensabili a modernizzare un sistema penale che ad oggi si dimostra sempre di più in necrosi avanzata.

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