L’arroganza fiscale di Amazon

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di DOMENICO MACERI

“Amazon dovrebbe fare ciò che fanno tutti i commercianti in California invece di passare tempo a raccogliere firme”. Parla il portavoce di Jerry Brown, governatore del Golden State, mentre reagisce al fatto che Amazon, il gigante del commercio elettronico, sta lavorando per la raccolta delle firme di un referendum onde revocare la legge che i commercianti nel mondo dell’Internet devono includere la “sales tax”, la tassa sulle vendite.

Il mese scorso la legislatura della California ha approvato una nuova legge che costringerà i compratori dello Stato che usano l’Internet per i loro acquisti di pagare la tassa come fanno quando comprano dai negozi regolari. Fino ad adesso i clienti dei negozi dell’Internet dovevano pagare le tasse sugli acquisti ma Amazon ed altri venditori del mondo virtuale non le raccoglievano. In California si tratta del 7,25 percento in più al prezzo dei prodotti.

Amazon sostiene che la nuova legge sia insostenibile dato che secondo la Corte Suprema solo devono raccogliere le tasse sulle vendite i negozi che hanno una presenza “fisica”, cioè edifici, dipendenti, magazzini, ecc. nello Stato. Infatti, da una parte ha ragione. Ma Amazon, nonostante abbia la sua sede principale nello Stato di Washington, ha forti legami in California con i rivenditori dei suoi prodotti, i cosidetti “Associates”, affiliati che indirizzano clienti al sito di Amazon dal quale ricevono poi una percentuale sulle vendite. Si calcola che il 40% delle vendite di Amazon avviene mediante gli affiliati.

Una volta approvata la legge in California Amazon ha deciso di licenziare tutti i suoi affiliati nello Stato. Rimane però il fatto che il laboratorio che produce il Kindle, il popolare lettore di libri elettronici di Amazon, si trova in California.

Non pagando le tasse sugli acquisti riduce i prezzi del 7,25 percento per i compratori e dà un vantaggio commerciale ad Amazon in comparazione ad altri negozi. Per le casse del tesoro della California si tratta di una perdita di più di un miliardo di dollari annui quando si aggiungono anche le vendite di Overstock.com ed altri rivenditori dell’Internet. Una perdita considerevole per la California considerando i problemi economici attuali.

Ma le perdite non influiscono solo sul Golden State. Si calcola che il 9% di tutti gli acquisti negli Stati Uniti avvengono mediante l’Internet, una cifra che continuerà ad aumentare. Più di undici miliardi di fondi sono dunque perduti dagli Stati americani per il fatto che le vendite nel mondo virtuale non includono la tassa sugli acquisti.

Con i suoi 38 milioni di cittadini, la California rappresenta il mercato più importante per Amazon. Il licenziamento dei suoi affiliati colpirà non solo i piccoli rivenditori ma anche Amazon. Ciononostante, l’azienda fondata da Jeff Bezos nel 1995, ha una buona reputazione con i suoi clienti per quanto riguarda il servizio.
L’idea però di raccogliere firme per revocare la legge dello Stato le farà perdere clienti i quali vedranno in questa azione una forte arroganza ed inconsistenza. Le firme per i referendum vengono raccolte in generale da persone che si piazzano all’entrata di negozi i quali pagano le tasse sugli acquisti. Questi stessi negozi daranno il permesso ad Amazon per raccogliere le firme?

“Considerando la disoccupazione attuale dell’undici percento bisogna stabilire una politica che incoraggi le aziende a rimanere nello Stato invece di mandarle via”. Ecco come ha reagito Paul Misener, vicepresidente di Amazon. In ciò egli ripete il cliché repubblicano che le aziende vanno via da uno Stato per un altro per il fattore fiscale. Ciononostante Amazon non ha abbandonato lo Stato di New York dove il gigante delle vendite al dettaglio raccoglie le tasse sugli acquisti dal 2005 che si aggirano sull’ 8,8 percento. Negli ultimi tre anni lo Stato di New York ha ricevuto più di 250 milioni di dollari con la “sales tax”.

Quando il commercio mediante l’Internet era agli inizi l’agevolazione fiscale era ragionevole per aiutare la nuova tecnologia. Ma adesso Amazon guadagna un sacco di quattrini. Dovrebbe accettare la nuova legge californiana ed essere grata per l’accesso al vasto mercato del Golden State.

Domenico Maceri, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

1 COMMENTO

  1. scusate, ma date una ricontrollata agli articoli prima di pubblicarli? Questo contiene una marea di errori, sembra copia-incollato da google translate…

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