Dalla parte di Bengasi

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di LIVIO GHERSI

Bengasi è una città con una popolazione di oltre seicentomila abitanti. Dal punto di vista demografico, ha, più o meno, le dimensioni di Palermo, o di Genova.
Pochi giorni fa, Gheddafi, ripresa l’iniziativa militare, ha promesso di sterminare i suoi nemici, paragonati a “ratti”. Il figlio di Gheddafi, completato l’accerchiamento di Bengasi, ha dichiarato che sarebbero bastate altre 24 ore e poi tutto sarebbe finito.

Perché le truppe fedeli al dittatore libico stavano vincendo sul campo? Per una evidente sproporzione di armamenti. Da un lato, aerei moderni che bombardavano e carri armati che avanzavano; dall’altro, ribelli senza un addestramento militare ed armati in modo approssimativo.
A questo punto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di fermare il massacro. Ha deciso di evitare la conquista di Bengasi, salvaguardando la popolazione civile da tutte le prevedibili conseguenze negative. A prescindere dal fatto che fosse o meno dalla parte dei ribelli.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dimostrato, in questo caso, una prontezza ed una capacità decisionale che non aveva avuto in tante altre occasioni? Tanto meglio! Ogni bagno di sangue evitato è sempre un passo avanti, è sempre un evento da festeggiare.

Le dinamiche della Storia non si svolgono mai secondo rigorose regole logiche. Dipende dalle circostanze. Ci sono grandi potenze, come la Russia e la Cina, tradizionalmente portate a salvaguardare il principio della non ingerenza nelle questioni interne di uno Stato sovrano. Questa volta si è determinato l’evento miracoloso che pure la Russia e la Cina non hanno posto il veto ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza riguardante la Libia. Evidentemente, i comportamenti di Gheddafi sono sembrati indifendibili anche a loro.
Il dittatore libico ha usato le sue non trascurabili disponibilità finanziarie per dotarsi di truppe mercenarie, reclutate prevalentemente nell’Africa Sud-Sahariana. I mercenari sono tratti da condizioni di partenza tali che per loro non hanno senso condanne morali. Si tratta di persone del tutto prive di istruzione, provenienti da situazioni ambientali caratterizzate da indigenza, violenza, degrado. Per loro la prospettiva di fare il mercenario al servizio del dittatore libico è come vincere la lotteria: un salto di qualità.

Invece, dal mio punto di vista, è più che giustificata la condanna morale nei confronti di Gheddafi, che paga questi disgraziati affinché uccidano cittadini libici. Per quanto riguarda i bombardamenti, da noi in Italia ancora si ricorda il generale Fiorenzo Bava Beccaris, che nel 1898 prese a cannonate il popolo di Milano che protestava per il prezzo del pane. Se quei colpi di cannone ci fanno orrore, che dire dell’uso sistematico dell’aviazione militare per fare tabula rasa degli insorti? Si badi bene: bombardamenti aerei disposti da un uomo di governo contro cittadini del suo stesso Stato, per il semplice motivo che quell’uomo di governo vuole mantenere il potere a tutti i costi e quei cittadini hanno avuto il torto di mettere in discussione la sua autorità.
Leggo sui quotidiani italiani dichiarazioni che, con diversità di argomentazioni, hanno il medesimo significato: Gheddafi, con tutti i suoi difetti, era funzionale agli interessi nazionali italiani. Con lui si sono fatti ottimi affari e si è assicurato l’approvvigionamento energetico (soprattutto di petrolio). Non ci conviene che cada, perché con chiunque venga dopo di lui, si potrebbero stabilire condizioni negoziali peggiori.

Non sono d’accordo. Ancora mi vergogno del fatto che il mio Presidente del Consiglio, mettendo sotto i piedi la dignità nazionale italiana, si sia inchinato davanti al dittatore libico e gli abbia baciato la mano.
Ma, al di là dei sentimenti soggettivi, l’Italia ha tutto da guadagnare nei suoi rapporti con l’opinione pubblica araba, complessivamente intesa, se applica con coerenza il semplice criterio che alcuni prìncipi fondamentali valgono per tutti gli esseri umani in quanto tali e, pertanto, devono valere anche per gli Arabi. Primo principio: nessun governo può legittimamente reggersi se non ha il consenso da parte della popolazione. Secondo principio: i cittadini di Bengasi valgono quanto i cittadini di New York, o di Roma, o di Parigi, o di Mosca, o di Londra. Di conseguenza, non si può consentire che siano massacrati da un pazzo sanguinario. Terzo principio: ogni popolo deve liberamente scegliere i propri governanti. Inutile, quindi, chiedersi chi prenderà il potere se Gheddafi cade. Prenderà il potere la classe politica che i Libici sceglieranno.

Non mi chiedo se la Francia, o il Regno Unito, abbiano secondi fini. Rispetto la Francia e l’Inghilterra perché sono grandi Nazioni, storicamente amiche e parte integrante dell’Unione Europea. Nella circostanza, condivido il fatto che si siano lanciati missili contro i carri armati che si dirigevano verso Bengasi e che si sia costretto l’esercito di Gheddafi a ripiegare. Non si può fermare un male stando a guardare.
Nell’attività politica c’è bisogno di realismo. Ma il realismo non può arrivare al punto di azzerare le convinzioni più sacre. In questo periodo, celebrando il centocinquantesimo anniversario della proclamazione dello Stato italiano unitario, abbiamo ricordato il Risorgimento. Ecco, il nostro Risorgimento è stato mirabile perché ha avuto sia il genio politico-diplomatico di Cavour, sia la visione ideale di Mazzini, sia la generosità di Garibaldi. Aggiungo che lo stesso Cavour aveva convinzioni ideali profonde ed era amico tanto dell’Inghilterra, quanto della Francia.
I Libici sono nostri fratelli. Meritano un futuro di pace, di dignità, di libertà, di sviluppo economico, così come gli Italiani dell’Ottocento vollero questi beni per sé stessi. Viva l’Europa! Viva l’Italia quale la vollero i Padri nel Risorgimento! Viva la Libia libera.

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