La Tunisia e la lezione del web

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di LUCA MARTINELLI

Mentre i principali quotidiani italiani continuano imperturbabili a guardarsi l’ombelico, mettendo in primo piano l’ennesima vicenda giudiziaria riguardante Silvio Berlusconi, venti di guerra soffiano dalla Tunisia. Nel giro di pochi giorni, il muro di impenetrabilità costruito dal Governo tunisino è crollato. I media del mondo rilanciano le proteste dei giovani nordafricani, inizialmente contro il caro-vita e trasformatasi poi una vera e propria richiesta di democrazia e libertà, in un Paese governato da 23 anni dalla stessa persona.

Le proteste sono sfociate nella reazione quasi-golpista del Generale Rashid Ammar, ex-Capo di Stato Maggiore dell’esercito, rimosso proprio dal Presidente-padrone Zine El-Abidine Ben Ali. Le sorti di quest’ultimo sono sconosciute: di sicuro c’è solo che è stato costretto ad abbandonare il potere e forse anche il Paese, ma non si conoscono le sorti dei suoi famigliari. La situazione resta fluida, mentre un “direttorio” che comprende anche il Primo Ministro e il Presidente del Parlamento pare abbia assunto il potere.

Parlare di “venti di guerra”, tuttavia, ci sembra appropriato non tanto in relazione a quanto sta avvenendo “sul campo”, quanto a quello che è già avvenuto sulla Rete. I media occidentali, come al solito, si sono accorti tardi delle proteste tunisine. Non così il gruppo di hacktivist chiamato Anonymous, che ha da tempo lanciato l’Operation Payback, nata come “risposta” alla lotta contro la pirateria e diventata un’iniziativa a favore della libertà d’espressione in Rete.

Anonymous ha scelto di appoggiare la rivolta, lanciando un attacco ai siti ufficiali del Governo tunisino, in risposta agli attacchi di quest’ultimo verso i blogger e i siti d’informazione che parlavano delle proteste nel Paese. L’attacco è stato seguito da una lettera aperta a tutti i media occidentali. I giovani nordafricani, come successe circa un anno e mezzo fa in Iran, hanno a loro volta utilizzato i vituperati (dal Parlamento italiano) social network per far breccia nella censura del regime, ottenendo crescente supporto sul web.

Vale la pena notare come le proteste tunisine non possano essere ricondotte ad una “regia” occidentale. L’Occidente, anzi, dimostra ancora una volta di non comprendere come il sostegno a regimi corrotti e dittatoriali appaia in totale contrasto con i principi di libertà di cui si fa latore. Il web, invece, non dimentica e non perdona alcun passo falso, pronto a presentare il conto alla prima occasione disponibile. È una lezione che il libero Occidente è bene che impari, prima che subisca una lezione in pieno stile tunisino.

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