L’Italia dei furbi di Renato Mannheimer e Paolo Natale

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di MiICHELE SERRAZANETTI*

Un paese di «fantastici furbacchioni»: è questa l’Italia descritta da Paolo Natale e Renato Mannheimer nel libro di recente pubblicazione “L’Italia dei furbi”, presentato il 29 aprile scorso a Milano. Gli autori indicano in un senso della moralità molto elastico la base di questa “peculiarità” italiana. «Siamo un popolo che accetta un po’ tutto», sottolinea infatti Renato Mannheimer: «Mentre altrove evadere le tasse è considerato un fatto grave, da noi chi lo fa non viene visto generalmente troppo male. C’è invece grande lealtà e rispetto verso la famiglia, che può portare a giustificare un po’ tutto con scuse come ad esempio il mantenimento dei figli».

Gli italiani non hanno sviluppato un senso di appartenenza nazionale, e tendono così ad abbandonarsi a questo genere di amoralità familistica. Quello che manca sarebbe un’etica collettiva. Risulta che tra un quarto ed un terzo dei nostri connazionali si vergogna addirittura di essere italiano. Non c’è altra lingua al mondo che usi l’aggettivo della propria nazionalità per designare qualcosa di imperfetto e furbesco: “una cosa fatta all’italiana”. E qui gli autori lanciano una provocazione, che è anche un allarme: l’Italia è come lo yogurt, con impressa una data di scadenza. Senza un’identità collettiva sarà difficile affrontare le sfide che paesi in forte crescita come Cina ed India ci stanno già lanciando. Secondo Paolo Natale è proprio questa la nostra grande debolezza: «Siamo parcellizzati, facciamo tutto per la famiglia. Usciti da questo ambito la collettività non esiste. Ognuno cerca solo di coltivare il proprio interesse. Andando avanti di questo passo finiremo col diventare schiavi cino-indiani».

Il poderoso movimento immigratorio dal basso proveniente da questi paesi è rappresentato da una manodopera disposta a tutto pur di guadagnare. «La nostra classe lavoratrice comincia invece ad avere la puzza sotto al naso», sottolinea ancora Natale. «D’altra parte è anche comprensibile. Diciamo ai nostri giovani di studiare e dopo 5 anni di università non ci stanno a fare un lavoro manuale». Sia dall’alto che dal basso la nostra popolazione viene sempre più schiacciata. Fino alla data di scadenza. L’ondata migratoria da una parte di capitali e dall’altra di forza lavoro prima o poi ci raggiungerà. Da qui alle prossime due generazioni gli italiani rischierebbero così di venire schiacciati da queste due superpotenze. Mannheimer si confessa però più ottimista: «In fondo è da tanto che siamo così, ma ce la siamo sempre cavata». Analizzando la situazione politica attuale fa poi notare come in Italia per conquistare l’opinione pubblica risulti necessario affidarsi al populismo. «Piccoli partiti come il PLI sono fatti di intellettuali che si interrogano sulla disaffezione degli italiani rispetto alla politica. Un partito di opinioni, di intellettuali con una coscienza civica, non può che essere di minoranza. Le persone non si interessano di politica. La politica populista pensa alla rielezione, non a fare le riforme».

La strategia vincente, allo stato attuale delle cose, sarebbe quindi quella di farsi «imprenditori politici della pancia, invece che del cervello». Ne sono un perfetto esempio i manifesti della lega secondo i quali “diventeremo come le riserve indiane”, a cui fa riferimento Paolo Natale: «Continuare ad avere questo sguardo di breve periodo non serve. Senza un ragionamento collettivo non ce la caveremo. Bisogna invece riuscire a colpire l’elettore sia alla pancia che al cervello, con messaggi semplici. Questo potrebbe portare a un rinnovamento». Lo stesso discorso sulla mancanza di una visione collettiva torna anche in tema di tasse. Gli italiani non vedono le tasse nell’ottica di “contribuisco a qualcosa”, ma le percepiscono semplicemente come una sottrazione. Resta chiaro però che ospedali e autostrade vengono considerati comunque dei diritti di tutti.

Si pretendono e richiedono comportamenti virtuosi, ma solo da parte degli altri. Così tutti vogliono il potenziamento dei mezzi pubblici, ma – appunto – per gli altri, perché poi molti continuerebbero in ogni caso ad usare la macchina. C’è sempre una seconda via. D’altra parte però si vuole che le istituzioni siano perfette. Ma alla fine, fa notare Paolo Natale, a capo delle istituzioni non ci sono che italiani che vanno a ricoprire posti pubblici: «Si comportano come fossero normali cittadini, ma con in mano un sacco di soldi». Il senso civico delle persone è in costante aumento, nel senso che risulta sempre più elevata la consapevolezza di cosa bisogna fare per essere un buon cittadino. A dispetto di ciò, i comportamenti vanno sempre più in senso opposto. «Eppure», precisa Mannheimer, «le cose fatte con un minimo di etica funzionano meglio». In questo senso «forse nei giovani c’è una speranza». Anche se si rivelano ancora troppo poco propensi all’imprenditorialità e alla mobilità. La maggior parte ha come priorità quella di sistemarsi: «Due giovani su tre preferiscono un lavoro fisso a uno meglio retribuito, ma con meno certezze sul futuro. Nella scelta dell’università viene considerata la vicinanza a casa come un fattore importante. Tutto questo deve cambiare. L’idea del posto fisso che dura tutta la vita è ancora ben radicata. E’ considerata addirittura un diritto. Ci sarebbe parecchio da discutere su quanto possa effettivamente esserlo».

In molti casi a fermare i giovani è anche la mancanza di risorse economiche, ma quale che sia la ragione il risultato è che le famiglie si allargano e sempre più generazioni si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto. Dai sondaggi risulta inoltre un incremento nel numero di giovani che pensa alla politica come professione. Ma non perché guidati dagli ideali, bensì dalle prospettive di guadagno. Così alle classiche ambizioni di diventare velina o partecipare ad un reality si affianca il sogno della politica, percepita secondo quello che è evidentemente lo spirito del tempo. In questo modo il quadro che ne esce è quello di un’Italia sporca e che pensa alle cose futili.

Gli autori non mancano di precisare che l’intento del libro è provocatorio: è chiaro che ci sono anche tanti begli esempi di cose che funzionano ed è ovvio che esiste anche un’Italia degli onesti. Ma resta il fatto che nel complesso la cultura del paese è un’altra rispetto agli esempi virtuosi, come ribadisce Mannheimer: «L’Italia è un paese di fantastici furbacchioni. Il vero punto è cosa fare oggi. Nel libro ci siamo astenuti, un po’ furbescamente. L’unica cosa è continuare a combattere le proprie piccole battaglie. Sul medio periodo esse portano degli effetti. Il dibattito su queste cose oggi è meno peggio di un po’ di tempo fa».

* CartaLibera.it

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