Messico: l’enigma della catastrofe

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di MARTINA CECCO

“Riuscirai a fermarlo papà?” chiede la figlia di Barack Obama al padre, sperando che lui, il suo papà, nonché il presidente degli Stati Uniti d’America, possa fare qualcosa per la catastrofe ambientale più grande di questo secolo, che si è scatenata del Golfo del Messico, dove quasi 70 milioni di litri di petrolio sono fuoriusciti in seguito alla deriva della piattaforma Deepwater, con la conseguenza di una falla al tubo di fornitura di petrolio della BP British Petroleum, il colosso internazionale dei carburanti.

Per l’America la tragedia non conta precedenti nella storia: mai era accaduto che a seguito di un guasto non ci fossero piani di intervento che potessero riportare la situazione alla normalità in tempi accettabili. L’ultima speranza per la British Petroleum, alla quale già saranno addebitati i costi di questa catastrofe, sta nel metodo di risanamento della falla chiamato “Top Kill” che cosiste in due operazioni concatenate: prima la pressurizzazione dell’impianto con la copertura fatta di materiali pesanti e argillosi, poi il riempimento con cementi e sabbia per fare in modo che l’impianto sia sigillato dall’interno.

Entrambe le operazioni hanno un costo e una difficoltà notevoli: si tratta di fare arrivare a più di 1.500 metri di profondità del materiale, con una tecnica che è adatta per interventi a meno della metà di profondità, rispetto a questo caso, con i rischi che ne conseguono, ma l’unica strada tuttavia percorribile, data la gravità della situazione.

Le conseguenze economiche: la British Petroleum, diretta responsabile dell’accaduto, ha già speso circa 450 milioni di dollari nei tentativi di fermare la emergenza e la fuoriuscita del petrolio in acqua oceanica, a queste spese si sommano le perdite dirette in greggio, si tratta lo ricordiamo di circa 70 milioni di litri di petrolio, stimate, a cui si aggiungono le spese preventivate per la bonificazione, oltre il doppio delle attuali, a cui vanno sommate, ancora, le spese per il risarcimento delle parti lese, ad esempio settore della pesca, del turismo e dei servizi, infine un ulteriore spesa che si aggiunge in capitolo è per la copertura delle indennità delle società petrolifere clienti danneggiate dalla interruzione della rete commerciale. Un costo ingente per compagnia petrolifera, che tuttavia ha già preso impegno e in parte fatto mea culpa >/i>con fermezza per l’accaduto.

Le conseguenze ambientali: oltre al danno contingente che consiste nell’inquinamento delle acque e delle coste, causa della morte delle tartarughe, dei delfini, in generale dei pesci e dei cetacei, c’è l’inquinamento costiero, per una estensione che si conta in più di 130 miglia per 70 circa e che si sta spostando allargandosi e toccando New Orleans, la Florida, Cuba e la Louisiana e destinato in ogni modo ad espandersi per via della corrente sottomarina del Golfo e per una naturale diluizione del greggio. Dalle immagini satellitari si vede la progressione nel diffondersi della chiazza nera e si percepisce la ingente quantità di petrolio riversato, nonostante non sia così evidente la profondità della macchia.

Le conseguenze legali per la compagnia petrolifera: il primo provvedimento votato dal Governo è stato quello di alzare le tasse del petrolio al barile da 8.00 a 32.00 centesimi per riuscire a arginare il danno economico a carico dello stato, recuperando in 10 anni circa 12 miliardi di dollari da destinare alle zone costiere danneggiate, alla quale si aggiungono le spese a carico della compagnia petrolifera, su cui il Governo statunitense ha firmato un patto orale con gli americani, per garantire il completo risarcimento del danno, promettendo la incriminazione della compagnia per avere violato le norme federali sulla sicurezza.

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