Onorare la memoria e i cavoli a merenda

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di LUCA MARTINELLI

Sono ormai abituato, con crescente disappunto, a sentirmi ripetere ogni 27 gennaio di ciascun anno che “sì vabbè, ricordiamo l’Olocausto, ma ricordiamoci anche che Israele sta costruendo muri contro i palestinesi”.
Non si sa bene perché questo accada, con precisione fiscale, ogni anno. Sta di fatto che questa abitudinaria presa di posizione altrui, oggi, mi porta a reagire con un po’ più di fermezza ad uno stantio refrain per cui “la vittima si è fatta carnefice”.

Mi sento un po’ in colpa a coinvolgere i nostri “venticinque lettori” in questa bega che – come giustamente i suddetti lettori possono arguire – non li coinvolge direttamente, e me ne scuso con loro. Ma ritengo sia arrivato il momento di fare chiarezza su quello che, per me, significa onorare il Giorno della Memoria.
Non sono mai stato una persona che ricorda e onora la memoria di qualcosa o qualcuno a comando. La memoria di un avvenimento storico la coltivo ogni giorno. Sono sincero se dico che per me, agnostico, ognuno di questi singoli avvenimenti ha la stessa importanza che per una persona osservante hanno le ricorrenze religiose.
Per me, ricordare non è un atto di banale conformismo o un’occasione per fare polemica: è un momento di ricerca personale della verità, in cui rinnovo la promessa che ho fatto a me stesso anni fa di non contribuire con “pensieri, parole, opere e omissioni” al ripetersi di azioni violente, ricordandomi che “questo è stato” e che mai più dovrà essere. In qualunque forma.

Trovo anche per questo motivo stucchevole ripresentarmi ogni anno la solita tiritera sul Muro di difesa israeliano. Dico “anche”, perché non è l’unico motivo.
In generale, trovo fuorviante, a mio umile avviso, un approccio alla Storia per cui due eventi storici diversi possano essere messi in correlazione con azzardati paralleli. Non voglio dire che non si possa mai operare una comparazione, ma ritengo che ogni evento storico è unico ed irripetibile, che una comparazione mette a confronto due oggetti di ricerca che sono incommensurabili.
In questo caso abbiamo, da un lato, il terrificante genocidio stabilito a tavolino di ebrei, zingari, slavi, disabili e dissidenti; dall’altro, un conflitto pluridecennale probabilmente fra i più complessi ed articolati, impossibile da semplificare in poche battute. La differenza io la vedo. Magari perché sono di parte, ma la vedo.

Confondere le due cose significa fare una enorme confusione fra “ebrei” ed “Israele”: i primi, vittime 65-70 anni fa di un odio inimmaginabile che li voleva rendere cenere da disperdere al vento; la seconda, una Nazione che da 63 anni a questa parte lotta per la sua sopravvivenza.
Alla confusione terminologica, si aggiunge l’eccessiva semplificazione del conflitto arabo-israeliano, le cui responsabilità non possono essere addossate alla sola Israele. Torti e ragioni sono da entrambe le parti. Gli attori interni ed esterni coinvolti nel conflitto sono tanti, ognuno con la propria parte di interessi e di responsabilità.
Ignorare questa complessità, ricondurre semplicisticamente il Muro di difesa ai muri dei campi di sterminio significa mischiare mele e pere nello stesso paniere. Il fatto che lo facciano anche intellettuali ebrei o israeliani non significa che questa equazione acquisti maggior valore.

C’è infine un terzo – ed ultimo, tranquilli – motivo per cui non vedo di buon occhio operazioni del genere. Mi permetto una metafora azzardata per illustrarlo: è come se io, agnostico, mi recassi una domenica in chiesa e ricordassi ai fedeli che, proprio in nome di quel Dio che stanno celebrando, sono state combattute le Crociate.
Pure ipotizzando una reazione dell’uditorio completamente pacifica e disponibile al dialogo, penso che comunque qualcuno avrebbe da ridire su luogo e tempo della mia esternazione. Così come mi si potrebbe far notare che parlare di Crociate ad una messa è un po’ come mangiare cavoli a merenda.
L’opportunità di gesti del genere, per carità, resta alla valutazione del singolo. Per quel che mi riguarda, credo di aver reso chiaro il mio punto di vista in materia.

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