Un sì minimalista al referendum sull’immunità delle alte cariche

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di Livio Ghersi

Il prossimo 11 ottobre inizierà la raccolta di firme per promuovere un referendum abrogativo della legge 23 luglio 2008, n. 124, recante “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato”. Del Comitato promotore del referendum fanno parte Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori, Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, rappresentanti di Sinistra democratica e del Partito dei comunisti italiani. Come ogni referendum, anche questo finirà per assumere un carattere trasversale, determinando consensi, o dissensi, oltre le logiche di schieramento e di appartenenza politica. In questo senso, è significativo che fra i referendari appaiano già molto attivi Arturo Parisi, deputato del gruppo parlamentare del Partito democratico, e Mario Segni.

Di fronte ad una proposta referendaria ancora allo stato nascente, occorre valutare sia il merito, sia l’opportunità dell’iniziativa.

La legge n. 124/2008 consta di un solo articolo, comprensivo di otto commi. Il primo comma è così formulato: «i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei Ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione».

Questa disposizione non riguarda il caso previsto dall’articolo 90 della Costituzione, che contempla le uniche due ipotesi in cui il Presidente della Repubblica può essere chiamato a rispondere di atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni: alto tradimento, o attentato alla Costituzione. Per il resto, come si sa, per il Presidente vale lo stesso regime giuridico in precedenza applicato al Re: egli è irresponsabile. Per lui viene in considerazione l’istituto della controfirma: la responsabilità giuridica di ogni atto presidenziale viene assunta, di volta in volta, dal ministro proponente che controfirma l’atto. Gli atti presidenziali non controfirmati non sono validi (articolo 89 Cost.). La disposizione introdotta dalla legge n. 124/2008 non si applica neppure alla fattispecie di cui all’articolo 96 della Costituzione: reati ministeriali, cioè reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni dal Presidente del Consiglio dei Ministri, o da singoli ministri, ancorchè cessati dalla carica.

E’ bene chiarire, quindi, che la legge n. 124/2008 riguarda reati che non hanno attinenza con le funzioni istituzionali ricoperte, ma che potrebbero essere commessi da qualunque individuo: reati contro la persona, contro il patrimonio, contro la pubblica amministrazione, eccetera.

Si diceva una volta che la moglie di Cesare non soltanto deve essere virtuosa, ma deve apparire tale. Tale massima vale anche (soprattutto) per Cesare. C’è l’esigenza di garantire la dignità ed il decoro delle cariche istituzionali, tanto più per le cariche di vertice dello Stato. Come potrebbe un Capo dello Stato restare al suo posto se coinvolto in vicende che porterebbero qualunque altro cittadino davanti al giudice penale? Egli avrebbe il dovere morale e politico di dimettersi, per evitare che le proprie vicende personali gettino discredito sulla suprema magistratura dello Stato. Lo stesso dovere morale e politico dovrebbero immediatamente avvertire il Presidente della Camera e quello del Senato, che rappresentano le rispettive assemblee nel loro insieme (senza distinzioni fra maggioranza e minoranze) e sono custodi e garanti dei rispettivi regolamenti parlamentari. Per quanto, con qualche fondamento, si parli di progressivo scadimento qualitativo della classe politica, non ho dubbi, che così come è avvenuto in passato, gli attuali titolari della Presidenza della Repubblica, o della Presidenza dei due Rami del Parlamento, abbiano sufficiente cultura istituzionale per mettere al riparo la carica ricoperta in ogni (certamente non augurabile) evenienza.

Che motivo c’era, dunque, di introdurre nel nostro ordinamento giuridico la legge n. 124/2008? La risposta si trova nel quinto comma: «la sospensione opera per l’intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura né si applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni». La formulazione non è chiarissima. Balza subito agli occhi, tuttavia, che si parli di “nomina”. Come i culturi di Diritto costituzionale ben sanno, e come mi è stato insegnato, tanto il Presidente della Repubblica, quanto i presidenti dei due Rami del Parlamento, non sono “nominati”, ma “eletti”. Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune, integrato da rappresentanti delle Regioni (articolo 83 Cost.). I presidenti della Camera e del Senato sono eletti dalle rispettive assemblee fra i propri componenti (articolo 63 Cost.) con maggioranze qualificate stabilite dai regolamenti parlamentari. L’unica carica istituzionale per la quale è appropriato parlare di “nomina” è il Presidente del Consiglio dei Ministri: «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri», recita l’articolo 92 della Costituzione.

Questo errore di formulazione rivela che la legge n. 124/2008 non è stata pensata ed imposta per salvaguardare le “alte cariche dello Stato”, ma soltanto una carica dello Stato: la Presidenza del Consiglio dei Ministri. C’è da chiedersi allora se la normativa sia statata concepita a tutela di qualunque titolare della carica (in astratto), o a tutela della concreta persona fisica che in questo momento ricopre la carica. Purtroppo, la risposta giusta è la seconda. Bisognava mettere al riparo questo Presidente del Consiglio dei Ministri da un’offensiva giudiziaria nei suoi confronti che si protrae dal 1994. Un osservatore non benevolo verso l’attuale Presidente del Consiglio potrebbe obiettare che se in tempi diversi, magistrati diversi, di uffici giudiziari diversi, per imputazioni diverse, hanno ritenuto di procedere in giudizio nei suoi confronti, forse non è per una congiura della magistratura comunista, ma in quanto, effettivamente, nella storia personale del Presidente, c’è stato qualcosa di non perfettamente chiaro, che, di volta in volta, richiedeva un chiarimento in un regolare processo.

Per spiegare il fenomeno Berlusconi dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non saprei trovare una descrizione migliore di quella che ha dato il professor Giovanni Guzzetta: «il ruolo di Berlusconi non può spiegarsi, oltre che alle indubbie capacità personali, se non per la massiccia dose di risorse “extra-istituzionali” di cui egli dispone. Risorse comunicative, finanziarie, relazionali» (così nel “Corriere della Sera”, 8 ottobre 2008, pagina 36). Guzzetta sostiene che la forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione non consenta di decidere e di decidere in tempi rapidi. Egli scrive di «democrazia vetero-parlamentare e impotente». Per correggere questa impossibilità decisionale, si sono via via introdotte delle vere e proprie «micro-rotture costituzionali», cui il «sistema si è assuefatto». Non concordo con Guzzetta sulla condanna della forma di governo parlamentare, ma riconosco che ha ragione a proposito delle «micro-rotture costituzionali». Queste ci sono state e molto più significative e numerose di quanto l’opinione pubblica abbia consapevolezza. Nella sostanza, la conclusione di Guzzetta è che Berlusconi venga votato da chi ritiene che la somma delle sue personali risorse “extra-istituzionali” e delle «micro-rotture costituzionali» finora intervenute abbia come esito di avere finalmente un Governo che decida.

L’alternativa sarebbe quella di uscire finalmente dalla strada delle «micro-rotture costituzionali» e di ridefinire la forma di governo con una riforma della Costituzione. Affinché non soltanto Berlusconi, ma chiunque in futuro possa effettivamente governare, se legittimato a farlo.

In questo ragionamento c’è una cosa che non si dice: le «micro-rotture costituzionali» sono altrettante violazioni dello Stato di Diritto, ridotto ormai a colabrodo. La legge n. 124/2008 è l’ennesima «micro-rottura costituzionale»: che stavolta coinvolge il fondamentale principio della eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (articolo 3, primo comma, Cost.). Sappiamo che questo principio poteva essere disatteso nella prassi; ma ora, per la prima volta, si dichiara formalmente che è suscettibile di sospensioni pro-tempore disposte dalla legge ordinaria. Il che equivale a dire: qualunque cosa abbia fatto, o faccia, il Presidente del Consiglio dei Ministri, egli non è processabile per tutto il tempo in cui resterà in carica, perché i voti che ha ottenuto in libere elezioni lo pongono al di sopra della legge. Gli innamorati del riformismo fine a se stesso non hanno il dubbio che questa volta il nuovo criterio sia un regresso rispetto al passato? Non c’è il fondato pericolo che domani, con la stessa logica, pure i presidenti delle Regioni eletti dal popolo e, perché no?, anche i sindaci dei Comuni più popolosi, siano dichiarati non processabili pro-tempore, affinché non siano disturbati nell’azione di governo?

Le argomentazioni finora svolte mi inducono a concludere che la proposta abrogativa sia certamente da condividersi nel merito.

Resta il problema dell’opportunità. Nell’attuale crisi del sistema finanziario e dell’economia è opportuno che si tenga un referendum che, inevitabilmente, metterebbe una parte, più o meno ampia, del Paese in contrapposizione con la persona che al momento detiene la carica di vertice del Governo? La logica del tanto peggio, tanto meglio, certamente mi è estranea. Anch’io ritengo che Berlusconi sia un politico “anomalo”, la cui presenza ha già prodotto molti guasti nella cultura istituzionale del Paese. Vedrei con favore la sua uscita definitiva dalla scena politica; anche perché quello che si è coagulato intorno a lui è il peggior schieramento di Centro-Destra possibile. In teoria, dopo Berlusconi, si potrebbe determinare un completo rimescolamento del medesimo schieramento, nel senso che si affermi una nuova classe dirigente di conservatori e di moderati, capace di garantire le libertà liberali, lo Stato di Diritto, l’unità della Patria italiana, convintamente assunti come valori di riferimento. Ma non vorrei che, nel frattempo, l’Italia fosse ridotta a macerie fumanti.

D’altra parte, è pur vero che, nell’interesse della libertà politica e della democrazia, è opportuno che in modo forte e solenne il Paese respinga la pretesa degli attuali governanti di travolgere progressivamente tutti i limiti derivanti dal vigente assetto costituzionale, in un crescente delirio di onnipotenza.

Personalmente, valutati i pro ed i contro, adotterò una soluzione minimalista: sottoscriverò la richiesta di referendum e, se questo si celebrerà, voterò “sì” all’abrogazione della legge 23 luglio 2008, n. 124. Nel contempo, mi sforzerò di tenere ben distinta la mia posizione, di semplice patriottismo costituzionale, dalla posizione di quei promotori del referendum che, oltre il merito del quesito, provassero ad intorbidare le acque, cercando non l’affermazione di un principio, ma una immediata rivincita politica.

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