L’Africa libera agli africani ! Intervista al giornalista e studioso Filippo Bovo a cura di Luca Bagatin

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In pochi sanno ciò che accade veramente in Africa da decenni, anzi, da secoli. In molti preferiscono voltare le spalle dall’altra parte, magari rinchiudendosi nel proprio intimo razzismo o nella xenofobia.
Altri invece, preferiscono acriticamente aprire i porti, accogliere tutti. Senza chiedersi se ciò sia davvero giusto, ovvero se sia giusto “deportare” esseri umani nei nostri Paesi, i quali magari finiscono nelle mani sbagliate, nei giri della malavita locale. Senza chiedersi – in sostanza – quali siano le cause delle migrazioni, ovvero aiutare gli africani a riappropriarsi delle proprie terre, della propria sovranità e aiutarli a non snaturarsi, a non disintegrarsi nella cultura occidentalista-capitalista, sempre più preda di un mercato che ha messo in vendita ogni cosa e che incita ad un consumo selvaggio e al conseguente sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano.
Ecco che in pochi conoscono la storia di eroi panafricani quali Thomas Sankara, Patrice Lumumba, Kwame Nkrumah, Nelson Mandela, Mu’Ammar Gheddafi e molti altri leader. Tutti di ispirazione socialista, tutti eroi politici democratici che hanno combattuto, nelle rispettive terre, il colonialismo e il neocolonialismo europeo e statunitense. E per questo hanno spesso pagato con la vita.
Come europei dovremmo riflettere su questo. Siamo stati e siamo davvero un popolo civile e democratico, in rapporto a quello africano ?
Perché non cerchiamo di capire e di approfondire ?
Oggi la bandiera panafricana è ripresa in mano da attivisti come Kemi Seba, che nei giorni scorsi, con la sua ONG “Urgences Panafricanistes” ha organizzato diverse manifestazioni in Africa contro il sistema del Franco CFA. La tesi di Kemi Seba è quella di invitare i suoi fratelli africani a non emigrare, ma lottare nella propria terra d’origine, affinché torni ad essere finalmente libera e sovrana. Questa è anche la tesi di Mohamed Konare, che il 2 marzo ha organizzato a Roma, alle ore 10, una manifestazione di pace delle comunità africane italiane che partirà da Piazza dell’Esquilino per arrivare a Piazza della Madonna di Loreto. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica relativamente allo sfruttamento dei poteri economico-politici occidentali che depredano l’Africa delle sue risorse e costringono gli africani ad emigrare, imponendo così una “concorrenza al ribasso” fra lavoratori e nuove lotte fra poveri.
Filippo Bovo, giornalista e studioso di politica dell’Africa, nonché autore del saggio “Eritrea, avanguardia di una nuova Africa”, edito da Anteo, può spiegarci meglio il fenomeno panafricano e che cosa sta accadendo in Africa in questo momento.
Luca Bagatin: In Italia e in Europa si parla molto del fenomeno dell’immigrazione africana, ma molto poco delle ragioni di tale immigrazione e della situazione che stanno vivendo i Paesi e popoli africani da decenni. Cosa puoi dirci in merito ?
Filippo Bovo: È indubbiamente una tematica complessa. Riassumendo, potremmo dire che i frutti mai curati del colonialismo – insieme agli ulteriori peggioramenti causati dal neocolonialismo – abbiano, col tempo, prodotto una sempre più incontenibile crescita demografica, frutto delle attuali ondate migratorie. Di tale problematica già ci avvisava una grande figura come il Presidente algerino Houari Boumédiène negli Anni ’70. Già allora, poi, si intravedevano gli enormi pericoli che in futuro sarebbero sorti da gravi problemi climatici come la desertificazione, devastanti per l’autosufficienza alimentare di quei Paesi. Qualche anno dopo, anche un certo Bettino Craxi ci mise in guardia, in tempi decisamente non sospetti, sulla gravità di questa situazione, a suo giudizio prossima ad esplodere. Come Occidente e come Europa, su tutta questa faccenda, abbiamo dunque non soltanto dormito, ma persino proseguito ad oltranza con certi errori pensando che non ci sarebbero mai stati dei limiti di cui rendere conto. La storia è insomma molto lunga e i recenti conflitti causati da una visione “neocolonialista” dei rapporti fra Africa e Paesi occidentali sono stati un fiammifero acceso gettato in un bidone pieno di benzina. Costa d’Avorio, Libia, Congo, Ciad, Niger, Sudan, Sud Sudan, Etiopia-Eritrea, Somalia, Niger, Mali, sono tutte crisi locali o regionali che comunque compongono un più vasto quadro a livello continentale. La povertà e la precarietà che si vivono in molti Paesi africani, poi, hanno facilitato anche la vita a certi fenomeni di crimine organizzato, come le mafie nigeriana o senegalese, che ad un certo punto hanno deciso di colonizzare anche i nostri “mercati”. Ci troviamo dunque di fronte ad una situazione profondamente frastagliata ed eterogenea, non riassorbibile di certo con qualche slogan o frase fatta come qualche politico o governante, tanto in Africa quanto in Europa, crede che invece si possa fare.
Luca Bagatin: I panafricani francesi si stanno battendo in particolare contro il sistema del Franco CFA. Puoi spiegarci questo sistema, più nel dettaglio ?
Filippo Bovo: Il Franco CFA, stampato dalla Banca Nazionale Francese, consente a Parigi di controllare le economie dei Paesi africani un tempo sue colonie, quelli che in Francia ancora chiamano “Françafrique”. Più di metà delle transazioni economiche e commerciali di quei Paesi finiscono quindi alla Francia, per un ammontare che corrisponde grosso modo a 400 miliardi di euro all’anno. Come se ciò non bastasse, se un’impresa estera vuole instaurare con uno di questi Paesi un accordo economico o commerciale di una certa entità, deve prima di tutto ricevere il consenso del Ministero dell’Economia della Francia: non di quel Paese, ma della Francia. Sono dunque Paesi a sovranità limitata, e non solo in senso monetario. Si tratta, insomma, di un sistema di sfruttamento palese e mi meraviglio di chi, in Europa, ancora si ostini a difenderlo, dal momento che ho visto politici e giornalisti nostrani darsi anche a simili bassezze. È anche un sistema pensato per inibire l’iniziativa economica e produttiva locale, perché per esempio se si va in Camerun, tanto per fare un esempio, è impossibile trovare certi prodotti alimentari di produzione locale, dal momento che quelli in vendita sono tutti francesi. Eppure la materia prima abbonderebbe: è che, tra concorrenza sleale da una parte e mancanza di preparazione professionale dall’altra, è quasi utopistico trovare un macellaio che per esempio sappia fare le salsicce. Le salsicce vengono tutte dalla Francia e costano non meno di 10 Franchi CFA, un prezzo abnorme per un consumatore locale. Se fossero prodotte in loco, costerebbero molto meno di un terzo. Mi rendo conto di aver fatto un esempio un po’ “casereccio”, ma era tanto per dare un’idea. Quanto a Kemi Seba, di cui fai menzione, basti pensare che è stato persino incarcerato per aver protestato in pubblico contro il sistema di sfruttamento basato sul Franco CFA. In Senegal fu incarcerato, su impulso della locale Ambasciata Francese, per aver bruciato davanti alla folla una banconota di Franco CFA con l’accendino. Il Senegal, tutti lo sappiamo, non è certo fra i Paesi della “Françafrique” che versano in condizioni peggiori: eppure è potuto succedere questo. Figuriamoci altrove !
Luca Bagatin: Cosa ne pensi delle battaglie storiche e attuali dei movimenti panafricani ?
Filippo Bovo: Il panafricanismo ha goduto momenti d’oro a partire da Kwame Nkrumah, il grande Presidente del Ghana degli Anni ’60, morto poi in esilio in Romania negli Anni ’70 dopo che fu stato spodestato da un golpe “filo-colonialista”. Fu uno dei primi a parlare di Africa unita con un libro, “Africa Must Be United”, che per molto tempo riscosse una grande attenzione fra i giovani intellettuali e rivoluzionari africani e che ancor oggi, mai dimenticato, sta conoscendo un meritato revival. In tanti hanno raccolto o condiviso quella sua lezione. Di leader africani noti o meno noti che hanno detto cose bellissime sull’unità africana ce ne sono stati tantissimi e saggiamente Mu’Ammar Gheddafi aveva voluto che tutti fossero ricordati ed onorati. La sua eliminazione, nel 2011, ha procurato un grave stop a questo processo, che comunque oggi sta conoscendo un nuovo rilancio. Questo fenomeno ci consegna un insegnamento molto importante: si possono uccidere le persone e persino i sistemi che hanno creato, ma non le loro idee.
Luca Bagatin: Il tuo saggio parla dell’Eritrea. Uno di quei Paesi di cui si sente, purtroppo, parlare molto poco nei media nazionali. Che situazione politica sta vivendo attualmente ?
Filippo Bovo: L’Eritrea ha conquistato l’indipendenza nel biennio 1991-1993, dopo trent’anni di guerra per l’indipendenza, dapprima contro l’Etiopia del Negus e quindi contro quella del DERG di Menghistu. Ha instaurato fin da subito un sistema socialista innovativo, che teneva conto delle particolarità locali e degli errori dei sistemi socialisti del passato, da correggere. L’Eritrea di oggi si presenta come un Paese che, avendo investito soprattutto nelle campagne anziché nelle città, ha evitato il doloroso problema delle immense baraccopoli tanto comuni nelle grandi città delle altre nazioni africane e che – sempre rispetto ad esse – vanta non soltanto la quasi autosufficienza alimentare, ma anche ottimi standard, in rapporto al contesto africano, per quanto riguarda la sanità e l’istruzione. È inoltre uno dei pochissimi Paesi in Africa a lottare senza quartiere contro le mutilazioni genitali femminili e a lavorare per garantire pari opportunità fra uomini e donne, dall’esercito agli altri settori dello Stato, fino all’economia privata. Per anni il Paese è stato ingiustamente sotto sanzioni a causa di false accuse in merito al suo operato in Somalia: prove fabbricate dal vecchio governo etiopico, con cui il Paese ha combattuto una guerra fra il 1998 e il 2000 e dall’Amministrazione Obama hanno accusato l’Eritrea di aiutare le milizie di al-Shabaab in Somalia, legata ad al-Qaeda. Nella primavera del 2018 il vecchio governo etiopico, guidato dal Fronte Popolare di Liberazione del Tigray è caduto e al suo posto è arrivata una nuova coalizione, guidata dal 42enne Abiy Ahmed, che al contrario ha subito chiesto la pace con l’Eritrea. Nel 2000, a guerra finita, l’Eritrea aveva sottoscritto tutti i termini della pace con l’Etiopia, rappresentati dal Trattato di Algeri, ma la controparte si era sempre rifiutata. L’apertura dell’Etiopia, imprevedibile fino a pochi mesi prima, ha così dato una tardiva ma importante soddisfazione all’Eritrea, e soprattutto ha avviato un immenso processo d’integrazione regionale, che sta mettendo a collaborare insieme Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti, Sudan, Sud Sudan, Kenya, ecc, in nome del benessere e della pace di tutta la regione. Già ora Etiopia ed Eritrea stanno collaborando per integrarsi a vicenda, cominciando dalle infrastrutture e non solo.
Luca Bagatin: Pensi che i popoli africani riusciranno a liberarsi finalmente dal neocolonialismo ?
Filippo Bovo: Il percorso è ancora molto lungo, però si vede già una luce in fondo al tunnel. Recentemente è nato il nuovo mercato comune africano, voluto dall’Unione Africana, l’AfCTA. Tra i suoi obiettivi vi sono quelli di far incrementare il commercio fra i vari Paesi africani, oggi davvero attestato a numeri minimi, ma anche quello di arrivare ad una moneta comune, sostitutiva di tutte quelle già esistenti e tra queste, tanto per tornare indietro di qualche riga, vi è anche il Franco CFA. Sappiamo che Nicolas Sarkozy volle la guerra contro Gheddafi anche perché quest’ultimo voleva introdurre una nuova valuta panafricana, il Dinaro agganciato all’oro, in luogo delle altre vecchie valute africane, cominciando proprio da quella “cartastraccia” di produzione francese. Il lascito di Gheddafi e degli altri panafricanisti che l’hanno accompagnato, dunque, è ancora molto forte, persino in istituzioni che a prima vista potrebbero sembrare un po’ troppo “abbottonate” come l’Unione Africana, ma che comunque nacque per volere proprio di Gheddafi. Il mercato comune africano può essere uno strumento per facilitare la “decolonizzazione” dell’Africa, sottraendola dalle vecchie potenze coloniali e neocoloniali. In ciò avranno sicuramente un ruolo importante le potenze e le economie emergenti, dalla Cina all’India fino alla Russia e non solo, che oggi vengono accusate di “colonialismo” soprattutto da quei Paesi che, il colonialismo vero, in Africa l’hanno fatto sul serio. Il volano di tutto questo meccanismo, in ogni caso, si è già messo in moto: al di là di tutte le polemiche, da oggi in poi i risultati li vedremo in maniera sempre più consistente.
Luca Bagatin

 

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