Legge annuale per il mercato e la concorrenza: ennesima occasione persa

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Il 2 agosto scorso il Senato della Repubblica Italiana ha approvato definitivamente la prima, storica “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”.

Occasione unica per il nostro Paese, come si evince dal primo comma del testo, ispirato agli ideali del più puro Liberalismo:

La presente legge reca disposizioni finalizzate a rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell’Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza”.

 

Una sinfonia di note per le orecchie di chi crede nell’applicazione rigorosa del metodo liberale in ambito economico, produttivo e del consumo.

 

Fatto sta che queste bellissime parole sono state non sfumate, ma irrimediabilmente corrotte da un contenuto privo delle auspicate liberalizzazioni.

L’allarme era stato già dato dal Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Giovanni Pitruzzella, in occasione della presentazione in Parlamento, a marzo di quest’anno, della Relazione annuale sull’attività svolta nel 2016. Pitruzzella, senza giri di parole, aveva concluso che la prima esperienza applicativa dello strumento del “ddl concorrenza” non era apparsa “del tutto soddisfacente”. Ciò in ragione sia dei lunghi tempi dell’iter parlamentare sia del complicarsi dell’articolato, modificato e “smussato” durante i lavori nelle varie Commissioni, su “temi eterogenei di non immediata rilevanza concorrenziale”.

 

Giova ricordare che l’adozione della Legge sulla concorrenza nasce con l’art. 47 della Legge n. 99/2009, contenente “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, al fine di normare sulla base delle segnalazioni e delle indicazioni fornite dalla stessa Antitrust, proprio per fare l’indispensabile passo in avanti in tema di liberalizzazioni, di rimozione degli ostacoli economici e delle barriere al mercato, di tutela dei consumatori.

I Parlamentari avrebbero dovuto discutere del disegno di legge con uno spirito favorevole al convincimento che la concorrenza mantiene la sua centralità nella crescita economica, nell’innovazione, nella riduzione efficace delle diseguaglianze, nell’efficienza dell’economia, nel benessere e nella soddisfazione dei consumatori. In un Paese come l’Italia, dove si fa fatica a rimuovere le storiche rendite monopoliste e oligopoliste di molti settori, l’unica vera lotta al terrificante “crony capitalism” ha successo solo con una sostanziale apertura dei mercati, a regole perfettamente concorrenziali, con un controllo valido e tempestivo da parte degli organi pubblici contro le forme di illegalità.

 

Ebbene, niente di tutto questo! Camera e Senato sono riusciti a devastare ogni buon intendimento, impiegando ben due anni nell’approvazione di una legge che di rivoluzionario ha solo il primo comma.

 

La mastodontica, peraltro non propriamente legittima – come non dimenticare che i Deputati e i Senatori in carica sono stati eletti con un sistema dichiaro illegittimo dalla Corte Costituzionale? – montagna parlamentare ha prodotto un misero, scheletrico topolino, capace di rosicchiare la parte meno rilevante dei privilegi peraltro di pochi settori, come quello assicurativo, delle comunicazioni, delle poste, dell’energia, delle banche, delle farmacie, dei trasporti e degli ordini professionali.

 

Un testo che, pertanto, assume un mero “valore simbolico”, per citare la stessa Antitrust nel comunicato emanato successivamente all’approvazione del testo, tanto da indurre a una riflessione sull’opportunità di ripetere questa drammatica esperienza. Ottimisticamente, l’AGCM auspica che in futuro vi siano “interventi più rapidi e incisivi”, non tramite leggi omnibus, ma con misure settoriali.

Il problema, però, non sta nel metodo da adottare, quanto nelle intenzioni. Da subito è stato chiaro come il legislatore, al di là delle dichiarazioni di facciata, non avesse la benché minima volontà di seguire il mandato della Legge n. 99/1999, mentre l’obiettivo è stato il mantenimento dello status quo e la salvaguardia delle rendite garantite dal morbo del capitalismo clientelare di cui l’Italia soffre da sempre.

 

E’ evidente che il nostro Parlamento non ha un numero sufficiente di delegati di ispirazione liberale. La Legge sulla Concorrenza dovrebbe far gridare di orrore i veri liberali italiani, i quali, oltre che di sdegno, dovrebbero turbare i propri sonni di preoccupazione per l’ennesima occasione persa.

Mai come questa volta avremmo potuto godere di una possibile rivoluzione liberale!

 

Probabilmente, abbiamo assistito alla prima e unica esperienza di un testo unico di liberalizzazione dei mercati. Difficile dire quando si ripeterà un altro tentativo di questa portata.

Nel frattempo, il sistema clientelare politico-economico è salvo, a discapito della libertà di impresa e della difesa dei consumatori; ma nessuno sembra essersene accorto.

 

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