Bene Gentiloni, ma ora approviamo delle buone leggi elettorali

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Gentiloni

Colgo reazioni scomposte nei confronti del nuovo Presidente del Consiglio incaricato, Paolo Gentiloni. Inutilmente scomposte, perché quanti si sono battuti per il No al Referendum hanno già ottenuto due risultati importanti: 1) le proposte di riforma costituzionale sono state cassate, non hanno esistenza giuridica; 2) il Presidente Renzi ha dovuto prendere atto dell’esito del Referendum ed ha rassegnato le dimissioni dalla carica.

L’Italia si trova, però, ad affrontare una difficile situazione, in particolare per quanto attiene alla tenuta dei conti pubblici, laddove finora è stato possibile andare avanti senza traumi solo grazie alla politica monetaria del Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. La BCE ha finora garantito l’acquisto dei titoli del debito pubblico ad un interesse contenuto, arginando così la possibile speculazione dei mercati finanziari. Non è detto, però, che questa politica sia eterna: la prossima scadenza è il 31 dicembre 2017. Gli antieuropeisti, i quali vorrebbero addirittura uscire dall’euro, sono come degli apprendisti stregoni e non hanno loro stessi contezza dei disastri che evocano. Ciò considerato, sarebbe irresponsabile correre ad elezioni senza avere nemmeno un quadro di riferimento preciso quanto alle le leggi elettorali con cui si vota. Per nostra fortuna, abbiamo un Presidente della Repubblica saggio e capace di smorzare l’avventurismo di tanti. Anche di chi, ricoprendo il delicatissimo ruolo di Ministro dell’Interno, si dichiarava pubblicamente per un voto nel prossimo mese di febbraio.

Paolo Gentiloni ha ventun’anni più di Renzi, quindi ben altra esperienza di vita e di politica. Ha un carattere completamente diverso: come ogni buon democratico, sa ascoltare, non è arrogante, e, quando deve rispondere “no”, non ha bisogno di offendere il proprio interlocutore. Non è un clone, né un avatar: definizioni stupide, date da persone che ancora non hanno ben compreso in cosa consista l’attività parlamentare.

In particolare tra i parlamentari del Movimento Cinque Stelle ci saranno certamente tante ottime persone, portatrici di salde convinzioni ideali. É anche merito loro se il No ha prevalso nel Referendum. Una decisione del tipo: mi rifiuto di sedermi ad un tavolo in cui si discuta di legge elettorale, è, comunque, al di fuori della razionalità. Non ha senso, nei confronti degli avversari politici, sostenere che, con loro, non si vorrebbe prendere insieme nemmeno un caffè. Nel nostro privato, siamo liberi di scegliere con chi andare al cinema, o a prendere una pizza. In Parlamento, invece, siedono dei rappresentanti di forze politiche, ciascuna delle quali ha ottenuto un determinato consenso; cioè centinaia di migliaia, talora milioni, di cittadini hanno sostenuto con il loro voto quelle forze politiche. Di conseguenza, i singoli deputati o senatori, potranno risultarci personalmente antipatici; ma, nel loro ruolo di rappresentanti del popolo, è dovuto loro il massimo rispetto. Bisogna imparare a parlare con tutti. Parlare, non insultare.

I parlamentari del Movimento Cinque Stelle hanno paura che si voglia scrivere una legge elettorale apposta per fregarli? Se questo è il loro timore, dovrebbero comprendere che per difendere i propri interessi non devono mettere la piazza contro il Parlamento, come fanno i fascistoidi ed i tardo-dannunziani, ma sedersi ad un tavolo istituzionale e fare valere la qualità delle loro proposte e la forza numerica dei loro voti.

Si torna al solito problema. E’ possibile approvare leggi elettorali lineari, che garantiscano tutti, senza precostituire vantaggi per alcuno? La risposta è sì, è possibile, solo che lo si voglia. Si deve attendere il giudizio della Corte Costituzionale, a partire dal prossimo 24 gennaio, soltanto se si ritiene di confermare l’impostazione dell’infelice legge elettorale partorita da Renzi, la legge 6 maggio 2015, n. 52, a sua volta pensata come rielaborazione del cosiddetto “porcellum” (legge n. 270 del 2005), di cui la Corte Costituzionale ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale, con sentenza n. 1/2014.

Chi impedisce al Parlamento di cambiare completamente impostazione e, quindi, di procedere subito alla riscrittura delle leggi elettorali di Camera e Senato, senza avere più l’esigenza di attendere la Corte? Basterebbe ritornare alla legislazione elettorale del 1993, con minimi adattamenti. Di seguito, esemplifico come si potrebbe fare, proprio per dimostrare che si tratta di una prospettiva assolutamente realistica, sempre che lo si voglia.

Legge elettorale per la Camera dei Deputati.

Il territorio della Repubblica è ripartito in 476 collegi uninominali, istituiti nelle diverse Circoscrizioni elettorali in proporzione alla cifra della popolazione legale residente. Ogni collegio corrisponde all’incirca ad una popolazione residente media di 125.000 abitanti. In proposito, si ricorda che, secondo i dati Istat aggiornati alla data dell’1 gennaio 2016, la popolazione italiana complessiva è quantificata in 60.665.551 abitanti e che la Regione meno densamente popolata, la Valle d’Aosta, ha una popolazione di 127.329 abitanti (con una coincidenza perfetta con le dimensioni medie di collegio, qui ipotizzate). Nella legge elettorale per la Camera che è rimasta legata al nome di Mattarella, ossia la legge 4 agosto 1993, n. 277, il numero dei collegi uninominali era fissato in 475.

In ciascun collegio viene eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi.

Oltre alla scheda per eleggere un candidato nell’ambito territoriale del proprio collegio, ciascun elettore ha disposizione una seconda scheda, per esprimere un voto a favore di una lista di candidati presentatasi in ambito nazionale. Tenuto conto che, ai sensi della Costituzione vigente, 12 deputati sono eletti nella Circoscrizione Estero, il totale dei deputati da eleggere con questa seconda scheda è quantificato in 142.

Ogni lista di candidati si presenta autonomamente, con un proprio contrassegno. E’ possibile, tuttavia, che più liste dichiarino formalmente di voler stringere fra loro un vincolo di coalizione politica, per conseguire insieme una maggioranza parlamentare che esprima il Governo nazionale. Nel caso venga formalizzato questo vincolo di coalizione, tutte le liste aderenti devono altresì dichiarare il collegamento con un unico contrassegno, utilizzato per contraddistinguere politicamente i candidati della medesima coalizione che concorrono nei collegi uninominali.

Nelle liste, tutti i candidati che seguono la persona indicata come capolista, devono essere presentati in ordine alternato di sesso.

I candidati nelle liste nazionali non possono essere contemporaneamente candidati in un collegio uninominale. Nessuno può candidarsi in più di un collegio uninominale. In caso di inosservanza di questi divieti, scatta automaticamente la sanzione dell’annullamento di tutte le candidature difformi a quanto prescritto dalla legge.

L’Ufficio elettorale centrale nazionale, costituito presso la Corte di Cassazione, quantifica il totale dei voti validi conseguiti da ogni singola lista di candidati. Quando vengano in considerazioni coalizioni formalizzate, quantifica la cifra elettorale nazionale della coalizione, sommando le cifre nazionali di tutte le liste aderenti alla coalizione. Individua, quindi, la coalizione, o la lista, che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti validi in ambito nazionale; in teoria, infatti, si potrebbe verificare anche l’ipotesi che una sola lista, non coalizzata con alcuno, ottenga più voti di tutte le coalizioni formalizzate.

L’Ufficio attribuisce, quindi, alla coalizione, o singola lista, risultata più votata, un numero fisso di 94 seggi, in misura corrispondente al 15 % del totale dei componenti la Camera dei Deputati. Tali seggi sono ripartiti fra tutte le liste aderenti alla coalizione in proporzione alle cifre elettorali nazionali di ciascuna lista. Nell’ambito di ciascuna lista, sono proclamati eletti tanti candidati quanti sono i seggi spettanti, secondo l’ordine di presentazione nella lista, a partire dal capolista. I predetti 94 seggi sono attribuiti a titolo di incentivo per la costituzione di una stabile maggioranza parlamentare e si sommano ai seggi ottenuti, nei collegi uninominali, dai candidati eletti con il medesimo contrassegno, collegato alla coalizione vincente.

I restanti 48 seggi sono ripartiti fra tutte le altre liste di candidati, in proporzione alle rispettive cifre elettorali nazionali. Per la proclamazione degli eletti, si segue l’ordine di presentazione nella lista, così come detto in precedenza. Per questa via, si consegue un limitato diritto di tribuna per le minoranze. Infatti, considerato che questi seggi sono attribuiti in una circoscrizione vasta quanto il territorio nazionale, è possibile che ottengano rappresentanza anche liste con cifre elettorali relativamente basse. Sarebbero così rappresentate anche forze politiche che difficilmente riuscirebbero ad eleggere propri candidati nei collegi uninominali.

La legge elettorale per la Camera, così congegnata, non garantisce con certezza l’esito di una maggioranza numerica in Parlamento; tuttavia, il doppio meccanismo del sistema maggioritario adottato per i collegi uninominali e dell’incentivo dei 94 seggi assegnati alla coalizione più votata con riferimento alla seconda scheda di votazione, facilitano di molto l’emergere di un preciso ed inequivoco indirizzo politico.

Legge elettorale per il Senato della Repubblica.

Nelle Regioni italiane sono istituiti 243 collegi uninominali, in proporzione alla cifra della popolazione legale residente, dei quali però uno spettante alla Valle d’Aosta e due al Molise, come prescrive l’articolo 57 della Costituzione vigente. Eccettuate le predette due Regioni, ogni collegio corrisponde all’incirca ad una popolazione residente media di 250.000 abitanti. Tenuto conto che, secondo i dati Istat aggiornati alla data dell’1 gennaio 2016, la popolazione residente nella Provincia autonoma di Bolzano è quantificata in 520.891 abitanti, e quella residente nella Provincia autonoma di Trento in 538.223 abitanti, nelle due Province autonome sono istituiti due collegi uninominali per ciascuna.

Nessuno può candidarsi in più di un collegio uninominale.

In ciascun collegio viene eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi.

Considerato che, ai sensi della Costituzione vigente, 6 senatori sono eletti nella Circoscrizione Estero, restano da eleggere ulteriori 66 senatori. Con esclusione delle Regioni Valle d’Aosta e Molise di cui già si è detto, questi 66 seggi sono ripartiti fra le restanti diciotto Regioni italiane, incluse quindi le Province autonome di Trento e Bolzano, in proporzione alla cifra della popolazione legale residente. Tuttavia, bisogna preventivamente realizzare quanto disposto dall’articolo 57, terzo comma, della Costituzione, secondo cui ogni Regione deve avere un minimo di sette senatori. Pertanto occorre eventualmente correggere l’esito di un riparto meramente proporzionale, fino a soddisfare la predetta esigenza.

Per eleggere la quota residua di senatori così spettante ad ogni Regione, il competente Ufficio elettorale somma i voti validi di ciascun gruppo di candidati presentati con il medesimo contrassegno nei collegi uninominali istituiti nella Regione ed esclude, dalla cifra elettorale regionale del gruppo così ottenuta, i voti dei candidati del gruppo stesso già proclamati eletti perché risultati vincenti nel loro collegio. Ripartisce, quindi, i seggi fra i gruppi, in proporzione alla cifra elettorale regionale di ogni gruppo, calcolata come detto in precedenza. Per la proclamazione dei senatori spettanti a ciascun gruppo, si tiene conto della graduatoria regionale dei candidati del gruppo medesimo, eccettuati quelli già proclami eletti perché vincitori nel loro collegio. In tale graduatoria regionale, i candidati sono inseriti in ordine decrescente di cifra elettorale individuale, cioè a partire da chi abbia ottenuto la cifra più alta. La cifra individuale si ottiene moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti dal candidato e dividendo tale prodotto per il totale dei voti validi che sono stati espressi nel collegio uninominale in cui concorreva (si veda, in senso conforme, l’articolo 17 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, recante Testo unico delle leggi per l’elezione del Senato della Repubblica). Viene così scelto non chi ha ottenuto più voti in assoluto, ma chi ha ottenuto il miglior risultato percentuale nel collegio in cui si è candidato.

Come si vede, non ci vuole poi molto per predisporre una normativa lineare, senza forzature. Che si aspetta?

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