BREXIT, si chiama democrazia, la storia si rimette in moto

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Ne abbiamo perso la memoria, ma c’è una cosa che si chiama democrazia. Vuol dire: potere del popolo. E vuol dire che un popolo può anche scegliere in modo diverso da ciò che chi lo guida propone, può cambiare le sue classi dirigenti, può fare ciò che l’establishment non vuole.

L’Inghilterra inventò la democrazia, in epoca moderna, a partire dalla Magna Carta, costituzionalizzando il potere, limitando il sovrano, e via via, nel corso dei secoli, ponendo al centro le istituzioni rappresentative come bastione a difesa dei diritti di ogni persona, e soprattutto come presidio rispetto alle pretese e alle ingerenze dei governi.

Purtroppo, anche nel nostro Occidente, da anni ci siamo dimenticati questi “fondamentali”. L’Unione Europea è divenuta, nel corso dei decenni, l’”esperimento” di come aggirare la volontà popolare, di come prescinderne (si pensi alle indimenticabili battutine di Juncker sull’inutilità delle elezioni nazionali…), di come “bypassare” sistematicamente il confronto con il “demos” e il suo “kratos”.

Con il voto di ieri, e con i risultati di stanotte, gli elettori inglesi ci hanno fornito uno spettacolare ripasso di questi principi-cardine. Quelli che invece vanno rottamati sono i “saggi”, gli “esperti”, i “commentatori” che per mesi si sono rifiutati di guardare la realtà, o – peggio ancora – che accettano la democrazia solo se il responso del popolo corrisponde ai loro desideri.

Ora occorremettere in fila alcune considerazioni sul passato e sul futuro.

1. David Cameron aveva fatto la cosa giusta puntando sulla rinegoziazione. Purtroppo per lui, non ha trovato sponde né a Bruxelles né nel resto d’Europa. Ne è scaturito un accordo debole, che ha innescato una campagna referendaria per lui drammaticamente in salita.

2. Il suo erroreè stato quello di spaventare, di puntare sulla paura. La Gran Bretagna non aveva e non ha nulla da perdere: è la quinta economia del mondo, ha il quarto esercito del pianeta, ha creato in cinque anni più posti di lavoro del resto d’Europa messo insieme.

3. Certamente siapre una fase di incertezza, dopo questo voto. Ma chi dice che l’incertezza sia necessariamente un male? Può anche essere una grande opportunità di riscrivere il futuro. Lo status quo europeo è ora (FINALMENTE!) indifendibile. Riprendiamo in mano le pagine di Milton Friedman contro la “tirannia dello status quo”: sono una bussola per le prossime settimane e mesi.

4. Ora occorrefermare la reazione franco-tedesca, e organizzare in Italia il “no” al ministro delle finanze unico europeo. Parigi e Berlino non tentino alcuna fuga in avanti. Si apra invece una nuova rinegoziazione, che riguardi tutti. E si mettano in discussione tutti i trattati europei esistenti.

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PRO MEMORIA

Ecco, in cinquanta giorni, tutte le volte che ho parlato di Brexit. Qui ce l’eravamo detti cosa poteva succedere…

28-aprile-2016

6-maggio-2016

3-giugno-2016

16-giugno-2016

21-giugno-2016

22-giugno-2016

1 COMMENTO

  1. Gli insensibili euroburocrati, i nostalgici delle pianificazioni, gli amanti delle regolamentazioni, delle norme i ogni dettaglio, le intromissioni scavalcando le preferenze delle diverse collettività, i soliti teorici indifferenti alle molteplici realtà tangibili, non hanno saputo interpretare la aspirazioni delle singole Nazioni le cui Popolazioni non erano disposte a rinunciare alle proprie autonomie, alle proprie identità. E così l’hanno vinta i pragmatici Inglesi che non hanno accettato di rinunciare alle proprie libertà, dando ai traditori della Federazione delle Nazioni una lezione che non dovrà essere ignorata..

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