Tempo scaduto – Lo Zibaldone di Lorenzo Borla n. 416

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(Marcello Sorgi, La Stampa) La decisione ripetutamente annunciata dalla maggioranza, e ribadita dal sottosegretario Lotti, di non fare concessioni sul ritorno all’eleggibilità dei senatori, dipende in parte dai dubbi, sempre più forti, che la minoranza Pd non abbia una vera strategia; e che l’obiettivo degli oppositori interni sia solo “ammazzare Renzi”, come ha detto il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. La convinzione è che anche solo uno spiraglio, aperto verso le richieste dei 28 senatori che insistono per emendare l’articolo 2 della riforma, finirebbe con il favorire il rafforzamento di un fronte al momento diviso tra quelli che vogliono andare fino in fondo, a costo perfino di una crisi di governo, e quelli che di fronte a quest’eventualità mollerebbero la presa, valutando semmai dopo la sconfitta, se persistono le condizioni di restare dentro al Pd. Renzi in altre parole continua ad essere sicuro che le ragioni del “sì” siano più forti di quelle del “no” al testo del disegno di legge Boschi, e che, messi alle strette, gli oppositori si dividerebbero, come già s’è visto in questi giorni. Centrale, ovviamente, resta la questione degli emendamenti al famigerato articolo 2: il regolamento del Senato al proposito è chiaro, e dopo due votazioni conformi nelle due Camere, il testo non dovrebbe più essere sottoposto all’esame dell’aula, né tornare ad essere suscettibile di cambiamenti. Pure la differenza minima nei testi approvati nei due rami del Parlamento non dovrebbe essere sufficiente a inficiare una regola consolidata. Questa è la posizione della presidente della commissione Affari istituzionali, Anna Finocchiaro. E questa, negli auspici di Renzi, dovrebbe essere la decisione finale del presidente del Senato Grasso. Il quale, fino adesso, ha smentito qualsiasi indiscrezione sulle sue convinzioni e ha sperato di poter allontanare da sé l’amaro calice, grazie a un accordo politico interno al Pd che però non s’è trovato.

Le liti sulla forma

(Michele Ainis, Corriere) La riforma del Senato è in viaggio. Verso dove? Bisogna ricordare che sono le funzioni di ogni organo, più ancora che il suo titolo d’investitura (elezione diretta o indiretta) a deciderne il ruolo. Un Senato inutile costituirebbe altresì uno spreco: puoi togliere la busta paga ai senatori, ma il Palazzo ha un costo, bollette e funzionari devi pur pagarli. E perché le istituzioni possiedono una propria dignità, non meno delle persone. Senza, la vita non merita più d’essere vissuta Nel 1946, al debutto della Costituente, i due maggiori partiti mossero da concezioni opposte del Senato. La Democrazia cristiana intendeva farne un’assemblea rappresentativa dei territori e degli interessi produttivi. Viceversa il Partito comunista invece puntava su un sistema monocamerale; ai suoi occhi il Senato – come la Consulta – non era che un “inciampo”, per usare l’espressione di Togliatti. Ma quelle due soluzioni avevano quantomeno il pregio della linearità, della chiarezza. Non è poco, perché le idee confuse generano pasticci, e i pasticci si traducono in bisticci. Nel prossimo futuro potremmo ottenerne una riprova, circa il condominio legislativo d’un ventaglio di materie fra Camera e Senato, che spetterà ai loro presidenti districare. Anche se, per dirla tutta, i senatori avranno ben poche funzioni da rivendicare. Un paradosso, giacché il Senato, scrive nero su bianco la riforma, <rappresenta le istituzioni territoriali>. Già, ma come? Attraverso una caricatura della Camera dei deputati, con meno funzioni, meno componenti. Non una seconda Camera, bensì una Camera secondaria. Il cui modello sta nel Bundesrat austriaco, anch’esso eletto in secondo grado dalle Diete provinciali, come il Senato dai Consigli regionali. Da quelle parti lo ritengono insignificante, però almeno l’organo è coerente. Noi, invece, chiediamo ai poeti di rappresentare le Regioni, includendovi i 5 senatori nominati per meriti artistici dal capo dello Stato. E ne lasciamo fuori i governatori, che sono i portavoce delle comunità regionali. Da qui l’esigenza di metterci rimedio. Comunque si risolva la querelle sull’elezione diretta del Senato, è ancora più importante restituirgli una missione, un’anima. Senza più il voto di fiducia sui governi, ma conservando la fiducia popolare su questa antica istituzione. Anche perché, altrimenti, nel referendum saranno i cittadini a sfiduciare la riforma.

Le leggi incomprensibili

(Virginia Piccolillo, Corriere) <L’incertezza e il caos delle norme vigenti in Italia compromettono una giustizia equa, efficiente e celere. E quello delle leggi mal fatte non è un problema della magistratura, ma un problema del legislatore>. Secondo Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, e presidente della Scuola superiore della magistratura che provvede alla formazione dei magistrati ordinari <i problemi della giustizia ci sono, ma occorre ben distinguere le leggi dalle prassi giudiziarie>. Leggi mal fatte? Allora condivide l’allarme di Sabino Cassese e del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini. <C’è una sovrabbondanza di testi normativi disorganici e in continua modificazione. Dipende da come lavorano il Parlamento e soprattutto il governo. Decreti “omnibus” vengono presentati e poi votati con un maxiemendamento. L’accavallarsi di disposizioni varie in simili provvedimenti approvati in blocco non favorisce certo la chiarezza. Ora la qualità delle leggi è persino peggiorata: certi testi sono talvolta quasi incomprensibili>.

Cosa si dovrebbe fare? <Quando c’è un problema normativo, bisognerebbe affrontarlo esplicitamente, in modo sistematico e nella sede propria, non infilare un emendamento nell’ultimo testo in discussione davanti al Parlamento>. Il suo collega Cassese punta il dito anche sulla Scuola della magistratura che non insegna ad usare la custodia cautelare come extrema ratio. È così? <Qui entriamo nel campo della prassi giudiziaria. Su questo certamente la formazione può e deve incidere. Ma non è vero che la Scuola non cerchi di farlo. Nei suoi corsi la Scuola non ha mancato di richiamare l’attenzione dei magistrati sul problema, partendo dalla constatazione del numero di detenuti in attesa di giudizio, molto superiore alla media di altri Paesi europei. Sulle richieste di custodia cautelare avanzate dalle Procure i giudici devono esercitare un vaglio severo. Tuttavia osservo che talvolta un legislatore schizofrenico ha operato in senso contrario, cercando di imporre una “obbligatorietà” della custodia cautelare, con norme che hanno dovuto essere corrette dalla Corte costituzionale>.

Cassese vi imputa anche di non far ricorso all’analisi economica del diritto. Dovreste? <Il problema non è di elaborare teorie generali, ma è ancora una volta pratico: le pronunce dei giudici incidono su realtà spesso complesse, sociali e anche economiche, e devono tenerne conto adeguando i propri contenuti non solo, come è ovvio, ai limiti e agli obblighi di legge, ma anche, quando esprimono valutazioni discrezionali, a esigenze di equilibrio e di corretto bilanciamento fra interessi contrapposti tutti degni di tutela. Ma l’azione penale, da noi, è obbligatoria, ed è giusto, perché solo così si garantisce l’uguaglianza fra i cittadini. Semmai talora si ha l’impressione di una eccessiva discrezionalità delle Procure nello scegliere le indagini da coltivare e nel disporre dei loro tempi, talora eccessivamente lunghi. L’obbligatorietà dell’azione penale presuppone che al processo si arrivi presto. Anche su questi temi la Scuola non ha mancato di provocare riflessioni e confronti fra i magistrati. La Scuola ha il vantaggio di essere autonoma sia dal Consiglio superiore della magistratura sia dal ministro di Giustizia, che pure nominano i componenti del direttivo ed emanano “linee guida” di cui la Scuola tiene conto. Così essa può promuovere una formazione non esclusivamente tecnico-giuridica, ma aperta alla realtà dei fatti e mirata a sviluppare il senso di responsabilità sociale della magistratura>.

La leggina dell’orrore

(Sergio Rizzo, Corriere) Non è una cosa seria. E viene il sospetto che non lo sia mai stata fin dall’inizio. Da quando, tre anni fa, sull’onda dell’indignazione popolare, il Parlamento approvò una legge che dimezzava i rimborsi elettorali, doppiata un anno dopo da un provvedimento che ci è stato venduto come <l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti>. La prova che non è una cosa seria è nella leggina maleodorante che consentirà il versamento dei soldi pubblici spettanti per il 2013 e il 2014, pur in mancanza del visto della Commissione rendiconti. Prima i partiti approvano in Parlamento una legge che mette nelle mani dei magistrati il potere di controllare i loro bilanci per poter incassare i denari. Poi però si scopre che la commissione di quei magistrati non ha il personale sufficiente per esaminare le carte, le fatture e gli scontrini fiscali. E il bello è che non si scopre tre giorni o tre settimane più tardi, ma tre anni dopo! Sembra uno scherzo. Quando poi il presidente lo denuncia, spunta addirittura una proposta di legge: una legge del Parlamento per affiancare ai magistrati una decina di impiegati! In soli tre mesi, però, da giugno a oggi, non se ne viene fuori. Allora ecco l’inevitabile sanatoria. Un classico dell’orrore, che sembra studiato a tavolino: si approva una legge sapendo già in partenza che non sarà applicata. E poco importa se questo fiaccherà ancora di più la fiducia degli italiani, già al lumicino, nei politici. Purtroppo anche in quelli onesti e capaci, e per fortuna ce ne sono, che saranno purtroppo gli unici a farne davvero le spese. Ci permettiamo soltanto di dare un consiglio a Lor Signori: quando l’affluenza alle urne crollerà di nuovo e i sondaggi diranno che i cittadini non ne possono più di questi partiti, perché andando avanti di questo passo fatalmente accadrà, non date colpa a ciò che chiamate antipolitica. Perché l’antipolitica siete voi.

La bomba della popolazione?

(Gianfranco Bangone, Il Sole 24 Ore) Nel 1968 un biologo di Stanford, Paul Ehrlich, dava alle stampe The Population Bomb (che ebbe un enorme successo) dove, adottando un approccio neo-malthusiano prevedeva che negli anni 70 e ’80 centinaia di milioni di persone nel mondo sarebbero morte di fame. E non era il solo. Ovviamente così non è stato (anzi, la povertà assoluta si è dimezzata). Invece in un libro recente, The End of Doom, Ronald Bailey ricostruisce in sette capitoli le previsioni di stampo catastrofista che non si sono mai avverate. La parte più interessante è forse quella dedicata all’aumento della popolazione mondiale che l’Onu stima, in via mediana, a circa nove miliardi nel 2050 e intorno agli 11 per il 2100. Ma non tutti condividono questo scenario. Ad esempio un demografo piuttosto noto, Wolfgang Lutz, ha pubblicato nel 2013 una rassegna sull’argomento molto citata dove conclude che è altamente probabile che nella seconda metà di questo secolo la popolazione mondiale sarà destinata a ridursi.

Il casus belli di questi scenari è rappresentato da quei pochi Paesi che in passato hanno contribuito per quasi il 50% all’aumento della popolazione mondiale, in particolare l’Africa Subsahariana. In Iran, ad esempio, nel ‘70 l’aspettativa di vita era di 54 anni e la fertilità totale di circa 6,3 figli per ogni donna. Oggi si è passati a 75 anni di aspettativa e a circa 2,2 figli. Insomma siamo al tasso di sostituzione. Un fenomeno simile si presenta anche in Brasile e in Messico.
La tendenza al raffreddamento delle nascite si registra anche in Paesi – come Sud Africa, Namibia e Zimbabwe – dove paradossalmente l’aspettativa media di vita è diminuita. Resta il fatto che secondo l’Onu dal 1955 al 2010 la fertilità globale è passata da 5 a 2,45 figli. Quindi non si tratta di una tendenza recente. Per altre catastrofi annunciate Ronald Bailey ha facile gioco nel girare il coltello nella piaga: l’epidemia di cancro negli Usa non c’è, anzi il National Cancer Institute sostiene che il tasso con cui si presentano i tumori produce una mortalità inferiore rispetto al passato. Tutto questo lo si deve alla rinuncia a certe cattive abitudini (vedi il fumo) oppure a un’alimentazione più controllata, ma soprattutto a molecole antitumorali più efficaci e soprattutto alla diagnosi precoce.

Questo ottimismo purtroppo non lo si può applicare al riscaldamento globale che invece sembra costante, anche se i modelli non sono stati in grado di prevedere un ventennio che non ha rispettato la crescita della temperatura attesa. Che fare? La risposta potrebbe arrivare dalla Conferenza di Parigi, che si terrà a dicembre, ma è bene diffidare dei facili entusiasmi: nel protocollo Usa-Cina, ad esempio, si evidenzia la parola “intende”, piuttosto che “si impegna”. Bailey sostiene che il prezzo per kilowatt delle energie pulite è destinato a scendere nel tempo. Ma resta il fatto che sul riscaldamento globale è difficile coltivare ottimismo. L’autore si chiede infine perché in passato l’ecocatastrofismo abbia avuto così tanto successo e la sua risposta è che una cattiva notizia fa più presa di una buona. Sul piano culturale, sostiene, il pessimismo è giustificato più da atteggiamenti morali che da valutazioni razionali dei dati.

Non sempre ci si azzecca

> ”The Bomb will never go off, I speak as an expert in explosives” (Admiral William Leahy , on US Atomic Bomb Project)
> “There is no likelihood man can ever tap the power of the atom” (Robert Millikan, Nobel Prize in Physics, 1923)
> “Computers in the future may weigh no more than 1.5 tons” (Popular Mechanics, forecasting the relentless march of science, 1949)
> “I think there is a world market for maybe five computers” (Thomas Watson, chairman of IBM, 1943)
> “I have travelled the length and breadth of this country and talked with the best people, and I can assure you that data processing is a fad that won’t last out the year” (The editor in charge of business books for Prentice Hall, 1957)
> “But what is it good for?” (Engineer at the Advanced Computing Systems Division of IBM, 1968, commenting on the microchip).
> “640 Kb ought to be enough for anybody” (Bill Gates, 1981)
> “This ‘telephone’ (1876) has too many shortcomings to be seriously considered as a means of communication. The device is inherently of no value to us” (Western Union internal memo).
> “The wireless music box has no imaginable commercial value. Who would pay for a message sent to nobody in particular?” (A David Sarnoff’s associate in response to his urgings for investment in the radio in the 1920s).
> “The concept is interesting and well-formed, but in order to earn better than a ‘C,’ the idea must be feasible” (A Yale University management professor in response to Fred Smith’s paper proposing reliable overnight delivery service. (Smith went on to found Federal Express)
> “I’m just glad it’ll be Clark Gable to fall on his face and not Gary Cooper” Gary Cooper on his decision not to take the leading role in Gone With The Wind.”
> “We don’t like their sound, and guitar music is on the way out” (Decca Recording Co. rejecting the Beatles, 1962).
> “Heavier-than-air flying machines are impossible” (Lord Kelvin, president, Royal Society, 1895).
> “If I had thought about it, I wouldn’t have done the experiment” (Spencer Silver on the work that led to the unique adhesives for 3-M “Post-It”).
> “Drill for oil? You mean drill into the ground to try and find oil? You’re crazy” (Investors who Edwin L. Drake tried to enlist to his project to drill for oil in 1859).
> “Stocks have reached what looks like a permanently high plateau” (Irving Fisher, Professor of Economics, Yale University , 1929).
> “Airplanes are interesting toys but of no military value” (Marechal Ferdinand Foch, Professor of Strategy, Ecole Superieure de Guerre, France …)
> “Everything that can be invented has been invented” (Charles H. Duell, Commissioner, US Office of Patents, 1899).
> “The super computer is technologically impossible. It would take all of the water that flows over Niagara Falls to cool the heat generated by the number of vacuum tubes required” (Professor of Electrical Engineering, New York University)
> “I don’t know what use any one could find or a machine that would make copies of documents. It certainly couldn’t be a feasible business by itself” (The head of IBM, refusing to back the idea, and forcing the inventor to found Xerox).
> “The abdomen, the chest, and the brain will forever be shut from the intrusion of the wise and humane surgeon” (Sir John Eric Ericksen, British surgeon, appointed Surgeon-Extraordinary to Queen Victoria 1873).
> “There is no reason anyone would want a computer in their home” (Ken Olson, president, chairman and founder of Digital Equipment Corp., 1977) (Dalla Rete)

Epocale
(Giorgio Montefoschi, Corriere) Anche il professor Cacciari, qualche sera fa, non ha resistito all’uso del termine “epocale”, ormai imprescindibile nelle conversazioni normali, nei dibattiti radiofonici, e negli estenuanti talk show televisivi, quando viene affrontato il tema dei migranti. La parola, quando il dibattito si ingolfa in un vicolo cieco, è gridata, sillabata, spiattellata in faccia all’interlocutore come una vera e propria sberla: <Ma tu, lei, voi, vi rendete conto che stiamo assistendo a una tragedia epocale?>. Di fronte allo schiaffo gli interlocutori tacciono, o annaspano. Ma cosa c’è di realmente epocale negli eventi certo sconvolgenti di questi ultimi anni, mesi e giorni? Le migrazioni dei popoli, fin dai tempi della Bibbia, e ancora prima, sono sempre esistite. Le guerre, mondiali, e quelle regionali, come la guerra in Libia e in Siria, sono sempre esistite, ovunque. I mercanti di schiavi, forse non feroci e spietati come questi, non sono una novità. Nel secolo scorso sono stati cancellati dalla terra sei milioni di ebrei, e milioni di armeni. I bambini e gli adulti, le donne e i vecchi muoiono di fame e di sete da una eternità nei Paesi del Terzo Mondo. Il Califfato conquista tenitori sempre più vasti, ma l’Islam per oltre sette secoli ha dominato il Mediterraneo ed è arrivato alle porte di Vienna. Il Male comincia con Caino e Abele, c’è e non muore mai. Di veramente epocale nel tempo in cui viviamo c’è il dilagare delle false commozioni, dei buoni contro i cattivi, di quelli che tirano acqua al loro misero mulino e invece di confrontarsi lucidamente su argomenti anche difficilissimi (quel bambino, con suo padre e sua madre, ormai in Turchia, doveva proprio quella sera, col mare grosso, salire sul gommone?) preferiscono parole facili, inutili, e a costo zero.

Homo Naledi
Un racconto di Ernesto Ferrero

(La Stampa) Abbiamo fatto molta strada per arrivare sino a qui. Ho smesso di contare le volte che il sole si è levato. Siamo buoni camminatori, per nostra fortuna. Tutte le sere quando accendevamo i fuochi delle soste, mi guardavo i piedi gonfi e sorridevo. Ai compagni del branco ho detto che sono anche meglio degli strumenti che ci sappiamo costruire con le selci e con il legno, e sì che con le mani siamo bravi. Non so chi li ha inventati questi piedi così buoni, ho detto (gli altri scuotevano la testa e ridevano con i loro grossi denti in avanti) ma vanno benissimo su ogni tipo di terreno. Possono correre velocemente, ma anche arrampicare, muoversi avanti e indietro, di lato; vanno bene anche in acqua, diventano leggeri. Per questo ce l’abbiamo fatta. Abbiamo superato deserti, guadato fiumi, salito montagne. Ne valeva la pena. Avevamo mandato avanti uno dei nostri e lui è riuscito a tornare, coperto di sangue e ferite, che si poteva perfino capire che tipo di unghie l’avevano graffiato, con quali animali aveva lottato. Ha fatto in tempo a parlare prima di morire. C’era un posto che non aveva ancora visto prima, con alberi e acqua e terra che sembrava buona. Il posto che cercavamo, che non riuscivamo nemmeno più a sognare. Se volevamo sopravvivere, era lì che dovevamo andare, donne, vecchi, bambini, le poche bestie, tutti. Con la mano ha fatto dei segni nella polvere, tremanti, ma ancora abbastanza chiari. Con il mento ha fatto segno dalla parte dove sorge il sole. Poi la testa gli è caduta giù.

Il posto è proprio come lui ha detto. Dopo gli alberi che chiudono questa radura dove abbiamo cercato di costruire dei ripari c’è una specie di grande rupe. Dentro la rupe si apre una spaccatura molto profonda. Ho buttato un sasso, ci ha messo un po’ ad arrivare sino in fondo, ma guardando bene ho visto che si può scendere giù in quella specie di caverna senza troppa fatica. Sarà un posto buono per metterci i nostri morti, e gli oggetti e le collane che abbiamo costruito. Magari sulle pareti possiamo anche provare a incidere i segni degli animali che abbiamo ucciso, così i figli e i figli dei figli sapranno quanto siamo stati bravi e coraggiosi. Questi animali non sappiamo ancora bene come chiamarli, ma a vederli disegnati sulle pareti, tutti li riconoscono e ridono.

So bene che presto questi giorni finiranno. Non ho paura degli animali, nemmeno di quelli che vivono da queste parti e ancora non abbiamo visto. Quelli li possiamo affrontare. Ho paura di quegli altri esseri che sembrano un po’ come noi, ma sono più alti e grossi di noi, e hanno teste più strette delle nostre, e piedi ancora più buoni. Anche a loro non abbiamo ancora dato un nome, ma sappiamo bene chi sono e cosa vogliono, sappiamo che sono peggio delle bestie che hanno zanne e artigli, e spargono sangue con gioia. Sappiamo che verranno a prendersi questa terra, e questi alberi e queste acque. Ma questa sera noi non abbiamo paura.

Il calore del sole

(Anna Meldolesi, Corriere) Ricreare sulla Terra quello che accade nel Sole, per realizzare la fusione nucleare e avere una energia pulita e, soprattutto, senza fine. Il sogno, inseguito da generazioni di scienziati, torna grazie all’esperimento di una società americana, la Tri Alpha Energy, che ha tra i suoi finanziatori il cofondatore di Microsoft, Paul Allen, e dei capitali russi. La rivista Science questa volta ci crede e parla di svolta. Se i governi di mezzo mondo avessero la lampada di Aladino e un unico desiderio da esprimere, probabilmente sarebbe la fusione nucleare. L’energia così ottenuta unirebbe i vantaggi delle fonti rinnovabili con quelli del petrolio: sarebbe pulita, senza emissioni di anidride carbonica, disponibile giorno e notte, con il bello e il cattivo tempo.

I problemi tecnologici e ingegneristici sono imponenti. La comunità internazionale ha scommesso tutto o quasi sul gigantesco reattore Iter, finanziato da Europa, Cina, India, Giappone, Corea, Russia e Usa con 20 miliardi di dollari. I lavori per costruirlo sul suolo francese procedono, ma tra ritardi e costi che lievitano non entrerà in funzione prima del 2025. Comunque il Golia della fusione dovrà vedersela con un grosso concorrente americano (National Ignition Facility) e anche con una piccola pattuglia di società private, finanziate da capitali di ventura, che inseguono approcci alternativi. Prima fra tutte la misteriosa Tri Alpha Energy: nessun sito web, un quartiere generale di basso profilo a sud di Los Angeles, nessuna chance di entrarvi senza firmare un accordo di riservatezza. Ha 150 impiegati e un gruzzolo di 150 milioni di dollari raccolti da investitori. La filosofia della Tri Alpha è stata a lungo improntata alla segretezza: poche pubblicazioni e molti brevetti, fino all’annuncio fatto in questi giorni al simposio organizzato per commemorare il fondatore della società, Norman Rostoker, fisico dell’Università della California deceduto a Natale.

La società ha dichiarato di aver costruito una macchina detta C-2U capace di mantenere stabile a 10 milioni di gradi Celsius una massa di combustibile da fusione. Come funziona? Immaginate due cannoni puntati uno contro l’altro, ognuno lungo una decina di metri, pronti a sparare un anello di gas incandescente. I due anelli di plasma viaggiano a una velocità vicina a un milione di chilometri l’ora, fondendosi al centro in una massa a forma di sigaro. Con una serie di trucchi i ricercatori sono riusciti a stabilizzare questo fenomeno per 5 millisecondi. Sembra un battito di ciglia ma è un balzo in avanti clamoroso se si pensa che per decenni ci si era fermati a 0,3 millisecondi (Science usa la parola svolta, breakthrough). Nessun contenitore però può sopportare il calore di simili esperimenti, perciò il plasma deve essere confinato. Iter lo farà dotando di magneti il suo reattore a ciambella. La società californiana, invece, lavora con un dispositivo lineare e sfrutta per l’imbottigliamento il campo magnetico prodotto dal flusso del plasma. Il prossimo anno verrà messa alla prova una nuova macchina (C-2W), da cui la Tri Alpha si aspetta prestazioni ancora migliori.

Citazione

Così com’è, tanto vale abolirlo (Pier Luigi Bersani)

lorenzo.borla@fastwebnet.it

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