Voltaire e il nostro tempo

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Può succedere di tutto, anche che Giuliano Ferrara, in un articolo di forte critica nei confronti di Papa Francesco, evochi, a sostegno delle proprie argomentazioni, il fantasma di Voltaire.

Ferrara afferma, ad esempio, che non ci sia differenza fra interruzione volontaria della gravidanza, praticata nelle prime settimane dal concepimento, e omicidio. Come dire, è uno che non sta tanto a distinguere e sottilizzare. E’ capace, cioè, di assumere posizioni molto radicali e di portarle avanti fino in fondo. Lo ricordiamo promotore della lista “Aborto? No grazie” che, nelle elezioni del 13 aprile 2008, per il rinnovo della Camera dei deputati, ottenne una percentuale dello 0,37 % dei voti validi espressi sul piano nazionale.

Ferrara avrebbe voluto una Costituzione dell’Unione Europea che sancisse solennemente le radici giudaico-cristiane dell’Europa. Oggi vorrebbe la guerra totale contro il fondamentalismo islamico, guerra che però, per essere militarmente vincente, richiederebbe un altrettanto agguerrito fondamentalismo cristiano.

Nell’articolo titolato “E’ Francesco, non è una gaffe” (pubblicato ne “Il Foglio“, del 15 gennaio 2015), indica quello che, a suo avviso, è l’errore di Papa Francesco, comune «a molta cultura irenista occidentale»: pensare che non esista alternativa al «dialogo inter-religioso». Ciò comporta la necessità di «convivere con l’orrore», dal momento che si comprende che «il distacco concettuale e spirituale dell’Islam dalle pratiche di violenza del jihad è una conquista che spetta eventualmente all’Islam di realizzare». Papa Francesco è il Vicario sulla terra di Qualcuno che, duemila anni fa, predicava di amare i nostri nemici e di porgere l’altra guancia quando si riceve uno schiaffo. Qualcuno che fermò la mano di Pietro, quando intendeva difendere con la spada il proprio Maestro. Non si può essere cristiani e cattolici a corrente alternata: sì per la difesa della vita, no per il riconoscimento, nella pratica, della pari dignità di tutti gli esseri umani. L’esigenza di pace fra gli esseri umani non è una strampalata concessione ad una non meglio precisata «cultura irenista occidentale», ma è l’essenza del messaggio cristiano.

Per convivere in pace, bisogna rispettarsi reciprocamente. Deridere, anzi offendere, le altrui convinzioni religiose è un gettare benzina sul fuoco; è il modo più rapido per arrivare allo scontro. Quanti sono convinti che le religioni, tutte le religioni, siano in sé assurde e contengano soltanto menzogne e falsità, non hanno cultura e sensibilità adeguate per comprendere che la fede religiosa è qualcosa di sacro per chi la vive come tale. I credenti usano la loro fede per orientare la propria vita; da essa traggono i criteri per compiere le scelte fondamentali; per essa sono capaci di rinunce e sacrifici, così come sono pronti a subire discriminazioni e persecuzioni; su di essa fondano le proprie speranze in una giustizia superiore alle logiche di questo mondo.

La fede nell’Islam non riguarda soltanto poche migliaia di fanatici, ma è la religione che accomuna oltre un miliardo e seicento milioni di esseri umani nell’intero pianeta. Non è soltanto la fede propria degli Arabi e quando facciamo riferimento agli Arabi parliamo, comunque, di una civiltà che ha raggiunto livelli molti raffinati: senza bisogno di andare a Damasco, basta fare un giro in Andalusia, a Cordoba e a Granada, per rendersene conto. E’ anche la fede di due Stati carichi di storia, quali l’Iran (l’antica Persia) e la Turchia, entrambi in passato potenze imperiali. E’ la fede di Stati densamente popolati quali il Pakistan e l’Indonesia. A fronte di tutto questo, chi farnetica di guerre di civiltà opera, forse senza esserne consapevole, per fare deflagrare un conflitto globale, a fronte del quale la prima e la seconda guerra mondiale sembrerebbero innocenti passeggiate. Noi non vogliamo questo; avversiamo tale prospettiva. Siamo lieti che il Capo della Chiesa Cattolica universale sia un operatore di pace.

I tragici fatti avvenuti a Parigi dal 7 al 9 gennaio 2015, iniziati con il massacro nella Redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, trovano un loro precedente ravvicinato nei primi giorni di febbraio del 2006. Allora in numerose città islamiche ci furono manifestazioni popolari molto partecipate e spesso violente contro la Danimarca, pacifico Stato europeo, membro dell’Unione Europea. Fu proclamato il boicottaggio commerciale dei prodotti danesi. Motivo scatenante il fatto che molti mesi prima a Copenaghen il giornale “Jyllands Posten” avesse pubblicato delle vignette riguardanti il Profeta Maometto.

La differenza è che stavolta teatro degli avvenimenti è stata una città europea e che gli assassini non venivano da fuori ma erano cittadini francesi.

E’ giusto rivendicare che gli Europei non sono disposti a modificare i propri valori perché questi non piacciono ai portatori di diverse visioni del mondo umano. Tutti coloro che vivono in Paesi europei ed a maggior ragione quanti ne sono cittadini, sono tenuti a rispettare la Costituzione e le leggi dello Stato in cui si trovano. Ad esempio, nella Costituzione della Repubblica italiana sta scritto che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione …» (articolo 3); «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano» (articolo 8). Bastano queste disposizioni per dimostrare che l’Italia, al pari degli altri Stati membri dell’Unione Europea, è uno Stato laico. Stato laico è quello in cui il diritto è separato dalla religione; dunque i cittadini non possono essere né avvantaggiati, né svantaggiati, dalla circostanza di professare un dato credo religioso. La libertà di religione è riconosciuta come diritto fondamentale, ma questa libertà si traduce anche nella facoltà di non professare alcuna religione.

Bisogna avere la capacità di difendere le libertà repubblicane anche nei confronti degli avversari interni; che, con il pretesto della lotta contro il fondamentalismo islamico, coltivano disegni reazionari e sognano impossibili restaurazioni. Ad esempio, chiedere la pena di morte significa avanzare una richiesta priva di fondamento razionale. Il fanatico, per definizione, è pronto a fare getto della propria vita. Non sarà, quindi, la minaccia della pena di morte a fermarlo. Quando una persona è in condizioni di non nuocere, perché già arrestata e consegnata alla giustizia, noi pensiamo che non sia lecito punirla con la morte. Altra cosa è il contrasto militare delle azioni terroristiche. Qui servono, effettivamente, regole d’ingaggio diverse e deve essere consentito agli agenti delle forze dell’ordine di sparare anche per primi per evitare che terroristi possano stroncare vite umane, o compiere attentati dall’esito distruttivo imprevedibile.

Il rapporto con persone provenienti da altre culture non può essere basato sul pregiudizio che soltanto noi europei siamo civili, mentre gli altri devono sforzarsi di diventarlo. Le nostre società occidentali non sono certo modelli di perfezione. Lo sappiamo bene. Al nostro interno c’è un diffuso disorientamento morale, che non dipende soltanto da motivi economici. C’è incertezza circa il modo di educare le nuove generazioni. Non basta certo una malintesa concezione della libertà sessuale a regalare a tutti la felicità. Non si diventa adulti ed emancipati soltanto perché si “va scopando in giro”, per adottare il linguaggio dei giovanissimi. Bisognerebbe partire dai sentimenti, individuando quelli che vanno valorizzati.

I credenti nell’Islam, a maggior ragione quelli che vivono in Europa, prima o poi comprenderanno che devono superare la concezione tradizionale secondo cui le donne sono sottomesse agli uomini. Parafrasando Immanuel Kant, ogni persona è un fine in sé; non può essere degradata a mezzo, o a strumento di fini altrui. Tale principio deve valere per tutti, indipendentemente dal fatto di essere maschi o femmine: questa è l’unica strada per realizzare in modo sempre più pieno i valori di umanità. Lasciamo che lo spirito di libertà trovi le sue strade e si dispieghi. Per perseguire tale obiettivo, le armi non servono.

D’altro lato il contatto con le donne educate nel modo tradizionale islamico, che vanno in giro vestite in modo austero, con i capelli raccolti da un fazzoletto, può farci riscoprire idee di decoro, di pudore, che da noi si sono completamente smarrite.

L’incontro fra costumi diversi può essere occasione di reciproco arricchimento.

Per tornare a Voltaire, nel suo stesso periodo la Francia ebbe almeno tre Autori di livello pari, o superiore: Rousseau, Montesquieu, Diderot.

Voltaire veniva detto «monsieur tout le monde» perché sembrava farsi interprete dello spirito del suo tempo; ma ciò avveniva anche perché egli voleva farsi intendere dai suoi lettori, banalizzando e semplificando ciò che era ben più complesso. Perché voleva compiacere i suoi lettori, scherzando su ciò su cui nessuno prima di lui aveva pensato si potesse scherzare. Torna alla mente una satira del nostro Vittorio Alfieri, titolata “L’antireligioneria“: «Piace all’uom pingue e stufo e d’ozio erede / barzellettar sovra le sacre cose, / ch’egli in prospero stato in lor non crede».

Sbaglia chi pensa che gli illuministi francesi del XVIII secolo fossero più coraggiosi degli intellettuali odierni. Loro contrastavano con i cattolici tradizionalisti del loro Paese. Oggi, in tempi di comunicazione globale e di alfabetizzazione di massa, qualunque cosa dichiarata in un punto qualsiasi del mondo si amplifica e, se ritenuta rilevante, può avere echi ed effetti nell’intero pianeta. La globalizzazione non riguarda soltanto l’economia e la finanza.

Ma vogliamo chiudere in positivo, ricordando il miglior Voltaire. Ai sui contemporanei che gli rimproveravano di essersi asservito agli inglesi per essersi fatto propagandista della scienza di Newton e della filosofia di Locke, Voltaire rispondeva: «di fronte a colui che pensa non c’è né francese, né inglese; chiunque ci istruisce è nostro compatriota».

 

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