Melissa nell’occhio del lupo, Nerone incendiario che impugna il diritto di vita e di morte

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di AUSILIA GUERRERA

Brindisi. Mesagne, sabato mattina 20 maggio 2012. Attentato-strage alla scuola Morvillo-Falcone. Scuola fatale, per il peso del nome che porta? Primavera di lacrime e sangue in Puglia. Tre bombole di gas infilate in un cassonetto della spazzatura piazzato ad arte davanti al cancello d’ingresso del Liceo di Mesagne, il Morvillo-Falcone – nome ingombrante e forse scomodo – vengono innescate dalla mano di un killer alle ore 7,38 minuti e 25 secondi. Melissa è investita in pieno dalla esplosione che la dilania. Vittime innocenti le studentesse bersaglio mobile di un terrorista occulto. I moventi sono sconosciuti; così il killer, che ha lasciato però dietro di sé tracce di errori commessi, come sull’asfalto a terra, esanimi, sette ragazze straziate dalla deflagrazione, avvolte in lingue di fuoco che le divorano davanti agli occhi orripilati e increduli delle altre studentesse e dei docenti, e i genitori sono sotto shock per il dolore e la paura come l’intero Paese. Melissa Bassi, una ragazza uccisa a caso, ma non per caso.

Il lupo dopo aver armeggiato con il detonatore, è rimasto lì davanti alla scuola divorata dall’inferno, il suo personale inferno, che ha inghiottito un’intera famiglia, quella della ragazza morta a soli sedici anni; la madre Rita, casalinga, e il papà Massimo, piastrellista, hanno perso così la loro unica figlia. Ignari che la loro piccola Melissa quel sabato non avrebbe mai più fatto ritorno a casa, perché finita nell’occhio del lupo. E la scuola di moda trasformatasi nel paradiso degli orchi. Una lucida follia omicida ha squarciato per sempre la esistenza di una famiglia e il destino di una vita umana nel fiore degli anni. Tutto ciò che aveva preceduto quell’evento e quelle ore non era che routine per Melissa e per le sue amiche: una banale e frenetica sequenza mattutina quotidiana, a propiziarsi, dopo un’intera settimana di studio, una domenica di meritato riposo. Di sicuro, tutto ciò che di brutto era potuto accadere finora nella loro vita era stata solo un’imitazione del dolore. Una vita familiare spezzata e spazzata via dal click del detonatore della mano assassina, incendiaria di un Nerone che, per un pugno di secondi, nel suo personalissimo delirio di onnipotenza, ha impugnato il diritto di vita e di morte su quelle vite umane, che sfilavano inermi sotto il suo naso di segugio. Un boato che ha deformato la realtà delle liceali in qualcosa di sinistro, al limite del nonsense.

Questi gli ultimi attimi nella luce tersa mattutina di un sabato qualunque in seguito coincisi con l’inizio del loro lutto. Sulla vita tranquilla di Mesagne si abbatte un’improvvisa tragedia, e una vita svanisce in una smagliatura temporale per non ricomparire mai più. L’aria è irrespirabile. Il trauma è terribile per i genitori di Melissa; al funerale della loro bambina, mamma Rita non è presente, assente nel tempo, lontana da un dignitosissimo papà Massimo: sembrano inseguire nella loro solitudine chimere spirituali e bilanci delle loro esistenze, riducendosi in uno stato di pura sopravvivenza. Il dramma assume tinte fosche perché non si scioglie l’enigma dell’attentato terroristico, e non di stampo mafioso. Così pare. Domande disattese appese si rincorrono a seguire il filo di un’indagine commossa e sottilissima sul grumo delle ragioni immotivate di pseudo-istanze terroristiche non rivendicate, dove ogni voce dei testimoni dei giornalisti delle mamme – che hanno raccolto letteralmente a brandelli le loro figlie divorate come carne viva bruciata dalle schegge nel rogo di sangue di questi cani neri senza volto e senza pace – è un’acuminata riflessione rotta solo dal tremore della voce. Non si può accettare senza rabbia e vigore, per quanto malfermi dall’emozione, una tale strage e silenzio delle innocenti.

Il piano sequenza delle telecamere ammesse, al pari delle autorità, al funerale di Melissa, ci restituisce una scena composta al limite della dignità umana. Le amichette sull’altare, nonostante la loro innata goffaggine post-adolescenziale, riescono a superare la crisi di panico per porgere con tenerezza, parole semplici di saluto al loro “angelo”. Queste piccole donne in erba, il giorno del funerale hanno ridotto di un paio di centimetri la propria statura, assiepate nella chiesetta, strette abbarbicate le une alle altre, in abbracci soffocanti a smorzare l’urlo del cuore. La compostezza rigorosa e dignitosa delle ragazzine meraviglia e sgomenta ancor di più, sembrano addormentate con Melissa; come se, per l’ultima volta, si fossero prese per mano, e l’avessero accompagnata verso il cielo. È un estremo saluto alla ragazza dallo sguardo da cerbiatto. Lo striscione del fidanzatino rivela una parte del loro mondo silenzioso, dissolto per sempre nella sua innocenza infantile. Sono diventati grandi e responsabili d’un botto; e sembra siano loro a prendere per mano gli adulti e a infondere ai propri genitori coraggio e a conferire fiducia persino al potere, nonostante tutto. Parlano un unico linguaggio quello dell’amore.

Sono perfettamente coordinati negli gesti negli sguardi nella voce; nessuna ombra a scoraggiare il loro futuro. Una bella sana solare generazione che ci rende fieri di essere italiani, e che contrasta sensibilmente con la regia occulta vile della strage terroristica, particolarmente di moda in questo inizio secolo, dagli effetti ipnotici e mostruosi. Quando le studentesse si sveglieranno dalla veglia funebre chissà se riusciranno più a tornare a camminare in giro per le strade, con passo svelto sicuro e incurante di qualunque inciampo la vita possa frapporre fra se stesse e il loro sogni, poiché, vulnerabili, sotto le loro palpebre non potranno mai più allontanare da sé l’immagine della loro amica. Inimmaginabile poi l’approccio alla realtà della ragazze ricoverate in ospedale: Vanessa, Selene, Sabrina, Veronica e Azzurra. Come il loro cielo.

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