La vera rivoluzione è abolire il valore dei titoli di studio

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di Adriano Gianturco Gulisano

"Merito, valutazione e autonomia" sono le tre parole-chiave del ministro Gelmini per fare qualche piccolo ritocco (non grandi riforme ha detto) al sistema dell'Istruzione. Bene, sembra una triade positiva. In realtà però c'è un errore d'approccio e poi molti di attuazione. L'unica trittico che potrebbe funzionare è invertito: "l'autonomia di valutare il merito". E soprattutto, niente funzionerà come si vuol far credere se non si elimina immediatamente il valore legale del titolo di studio. 

Oggi per essere agevolato ai concorsi pubblici conseguire il "pezzo di carta" in una università ottima o pessima è assolutamente indifferente, il valore appunto è omologato e fissato. Non si valuta la competenza ma l'inchiostro del timbro. Ed ecco quindi la corsa all'università più magnanima, al corso più facile, al professore più buono, ai vari Cepu e ai mille trucchetti per farsi convalidare crediti (CFU) nel modo più furbo.

Abrogando questo ornamento tutto italiano, nessuno più avrebbe la convenienza di prendere un titolo che non insegna nulla e mette solo un timbro nel curriculm. Chi vorrà studiare mirerà allora alla bravura e alle competenze. Le università migliori avranno più alunni e i professori capaci, le aule piene. E allora sì che si potrà valutare. E poi magari pensare all'annosa soluzione del buono-scuola. Il rischio però è che voglia farlo ancora una volta lo Stato, con criteri e metodi probabilmente non corrispondenti all'opinione dei veri fruitori/clienti. 

Sia chiaro, se non si abroga il valore legale del titolo di studio questo meccanismo virtuoso non si innescherà mai, perché genitori e alunni non avrebbero alcun interesse a scegliere le scuole migliori, e queste da parte loro perché mai dovrebbero migliorarsi? E se mai accetteranno di essere valutate, premeranno perché lo si faccia solo su elementi di contorno. Comunque poi gli studenti continueranno a preferire quei più semplici diplomifici che sfornano un pezzo di carta identico.

Per quanto riguarda la valutazione, il sistema migliore è quello che già esiste dell'Ocse-Pisa e i politici, se proprio devono, si limitino a prevedere soltanto l'obbligo di trasparenza. Se poi i diretti interessati penseranno di poter creare dei test più utili, lo faranno secondo i propri criteri.

Il merito, questo è il punto centrale, si dà ormai per scontato che debba essere lo Stato a valutarlo e ad inserirlo nella vita pubblica. Ci si dimentica però che non esiste solo nel settore pubblico (con le eccezioni del caso, è chiaro). Nella vita privata, nel mondo reale esiste eccome e non si può calarlo dall'alto. Lo Stato faccia allora un passo indietro, è l'unico modo per farlo tornare a galla.

 

Per gentile cortesia dell'autore, il pezzo è stato pubblicato su l'Occidentale

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