Intercettazioni, ecco perché la partita è ancora aperta

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Intercettazioni, ecco perché la partita è ancora aperta

di FEDERICO BRUSADELLI

«Non c’è dubbio che il testo sia stato ampiamente migliorato, ma non è ancora il miglior testo possibile». Insomma, la partita sulle intercettazioni non è ancora chiusa. E ci sono margini per reimpostare il percorso di una legge che si poteva e si doveva gestire con più equilibrio e più prudenza. Il presidente della Camera, come riporta oggi il Corriere della Sera, prova a ragionare sul testo appena licenziato dal Senato, al riparo dai fuochi incrociati di un dibattito politico che troppo spesso scivola nella propaganda.

Luci e ombre, dunque. Perché è vero che la norma era necessaria («l’uso distorto dello strumento investigativo e l’abuso mediatico imponevano di mettere un freno»), ma la gestione della riforma è stata, senza tanti giri di parole, «la dimostrazione di come ci si possa fare del male da soli», «un compendio di quanto in politica non si deve fare». Una strada percorsa a zig-zag, senza stella polare, applicando un metodo pasticciato. Con il risultato – sottolinea Fini – di aver provocato la sollevazione del mondo dei media, di aver raccolto la contrarietà di quattro quinti dei giuristi, di aver innescato un duro dibattito nella maggioranza (e nel paese, ovviamente). Un pasticcio, senza dubbio.

E adesso? Manca il voto dell’aula di Montecitorio. E lì ci sono spazi di miglioramento. C’è la possibilità di accogliere i rilievi più condivisibili (e ce ne sono tanti) che arrivano – lo ricorda anche Carmelo Briguglio sulle colonne virtuali di Generazione Italia – da giornalisti ed editori, da magistrati e forze dell’ordine. Proroghe, intercettazioni ambientali, reati-spia collegati a mafia e terrorismo, giusto equilibrio fra privacy e legalità: sono questi alcuni dei nodi da sciogliere. E deve farlo il Parlamento. Privarlo della possibilità di incidere su una legge così delicata e dibattuta, “blindando” il testo, sarebbe una scelta irrispettosa e poco saggia. «Di sicuro la Commissione giustizia avrà la garanzia di valutare approfonditamente il nuovo testo», assicura Fini. Ma «se sono stati impiegati due anni per discutere la legge, non sarebbe un errore sfruttare un po’ di tempo in più, qualche mese, per ridurre il dissenso che c’è attorno a queste norme. Perché non cambiare prima, quello che palesemente è ancora da cambiare? Si eviterebbe un atteggiamento che considero autolesionista, e soprattutto si eviterebbe di fare la fatica di Sisifo».

E sì, perché dopo Montecitorio c’è il Quirinale. E dopo il Quirinale, la Consulta. E chissà che poi non spunti un referendum. In quel caso, «se si respirasse la stessa aria di questi giorni, non scommetterei sull’esito», confessa il presidente della Camera.

Ecco perché la partita è ancora aperta. Ecco perché c’è tempo per riflettere ancora e per mediare, per limare e migliorare. Per provare a costruire – impresa che pare disperata, visto il clima delle ultime settimane – un minimo di consenso su una legge che, data l’importanza delle questioni che solleva e dei “punti sensibili” che tocca, non può diventare strumento di battaglia, non può, sullo sfondo di un dibattito già troppo imbarbarito, trasformarsi in arma contundente. Anche perché intanto, mentre in Italia si parla di bavagli e cimici, nel mondo soffiano ancora i venti della crisi. E c’è una manovra finanziaria da discutere e approvare. Un appuntamento che sicuramente ha la priorità su tutto, intercettazioni incluse.

Pubblicato su FareFuturo Magazine del 12 giugno 2010

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